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[CURIOSITA’] Forse non tutti sanno che…..

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  • [size=12pt]I Tornado in Italia[/size]

    I tornado sono possibili anche in Italia, dove pero' sono molto meno intensi e decisamente piu' rari di quanto non lo siano negli Stati Uniti. Le zone nelle quali la loro formazione e' piu' frequente sono le zone costiere e, soprattutto,la Pianura Padana.

    ''In queste zone possono formarsi sistemi connettivi che in particolari condizioni possono dare origine a dei tornado'', osserva Massimiliano Pasqui, dell'Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ibimet-Cnr). ''I meccanismi che li generano sono gli stessi che agiscono ovunque, la differenza – spiega – e' nell'energia''.
    Cio' che in Italia rende impossibile la formazione di violenti tornado, declassandoli a trombe d'aria, sono le caratteristiche tipiche del Mediterraneo e quelle del territorio italiano. Innanzitutto c'e' la grande vicinanza fra il mare e le zone piu' interne del Paese: ''Il Mediterraneo non e' mai lontano dall'entroterra e in queste condizioni la formazione di vortici puo' essere facilmente disturbata dagli ostacoli, primi fra tutti i monti'', rileva Alfonso Sutera, del dipartimento di Fisica dell'universita' Sapienza di Roma.

    Per questo motivo la Pianura Padana e' la zona nella quale piu' facilmente possono formarsi le trombe d'aria. Qui le masse d'aria fredda e secca possono incontrare quelle di aria calda e umida, innescando i moti convettivi all'origine degli uragani. ''Tuttavia non si verifica mai una situazione confrontabile a quella degli Stati Uniti'', osserva l'esperto.
    Le stagioni piu' frequenti sono quelle che segnano il passaggio dalla stagione fredda a quella piu' calda. ''La primavera e' una delle stagioni piu' a rischio – spiega Pasqui – perche' in questo periodo dell'anno e' piu' frequente la presenza di masse d'aria fresca capaci di accentuare l'instabilita', associati a sistemi convettivi''.

    Tuttavia, rileva Sutera, bisogna considerare che le differenze stagionali nel Mediterraneo non sono mai troppo marcate: ''Possiamo distinguere nettamente due stagioni: una fredda ed una calda'', osserva. ''Il Mediterraneo – prosegue Sutera – e' un grande mediatore di eventi meteorologici. E' un mare chiuso e mantiene una temperatura sufficientemente alta da far si' che le instabilita' siano rare: e' difficile che si verifichi la formazione di aria molto calda e umida al di sotto di masse d'aria molto secca e fredda''.

    FONTE: ANSA

    [size=12pt]Mongolfiere sottomarine catturano energia di sole e vento [/size]
    Allo studio una sperimentazione lungo coste Sicilia e Calabria

    (ANSA) – MILANO, 20 MAG – Intrappolare l'energia del sole e del vento in fondo al mare per usarla solo quando necessario: è possibile grazie a vere e proprie 'mongolfiere' sottomarine, degli enormi palloni ancorati al fondale che accumulano al loro interno aria compressa per liberarla sotto forma di energia elettrica quando richiesto.

    Questi innovativi sistemi di accumulo sono allo studio nei laboratori di Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), e presto potrebbero essere testati lungo le coste di Sicilia a Calabria.

    "Si tratta di grandi palloni che si gonfiano e sgonfiano come delle fisarmoniche, raggiungendo quasi 4.000 metri cubi di volume", spiega Federico Cernuschi, l'ideatore del progetto nato nel 2011.

    'Figli' della ricerca aerospaziale, i palloni sono composti da un tessuto impermeabile ed elastico montato sopra un'intelaiatura metallica. Ancorati al fondale a 5-10 chilometri dalla costa, ad una profondità di circa 500 metri, possono immagazzinare sotto forma di aria compressa l'energia prodotta in maniera discontinua dalle fonti rinnovabili, in modo da liberarla secondo le esigenze del mercato elettrico. In uno scenario di lungo periodo potrebbe prendere forma anche un'ipotesi di particolare interesse, cioé quella di associare i palloni agli impianti eolici off-shore. "L'idea però non sembra di facile applicazione – afferma Cernuschi – perché le piattaforme con le pale eoliche vengono di solito installate dove la profondità del mare e la pressione esercitata dall'acqua non sono adatte ai palloni per l'accumulo".

    Per chiarire tutti i problemi tecnici che possono sorgere dall'installazione e dalla gestione di questi serbatoi sottomarini, gli esperti Rse stanno valutando la possibilità di avviare una sperimentazione con un piccolo prototipo del pallone. Al momento sono state individuate tre possibili località dislocate lungo le coste calabresi e siciliane.(ANSA).

    [size=12pt]Ambiente: in Messico ong compra e libera squali catturati[/size]
    Pelagic life li acquista da pescatori, vivi valgono piu' che da morti

    (ANSA) – ROMA, 27 MAG – La loro fama è da sempre pessima. Film, racconti, leggende, persino i cartoni animati li descrivono come spietate macchine da guerra, cacciatori d'uomini, sempre affamati. Gli squali però sono responsabili di appena una manciata di vittime l'anno in tutto il mondo e sono un pezzo importante dell'ecosistema. Per questo l'Organizzazione messicana Pelagic Life compra ai pescatori della Baja California, a un prezzo superiore a quello di mercato, gli squali presi reti e negli ami per liberali di nuovo in mare. Il 'prezzo' di uno squalo varia a seconda della sua grandezza e specie. Si va dai 100 pesos (circa 6 euro) di un piccolo Mako fino ai 500 pesos degli esemplari di maggiori dimensioni come lo squalo martello. L'idea è quella di far capire ai pescatori che uno squalo vivo vale di più di uno morto sia per il ricavo immediato che per la salvaguardia dell'ecosistema e quindi del proprio futuro. Sul lungo termine si punta a fare delle acque Messico un 'santuario' degli squali per sviluppare forme di ecoturismo. "Dobbiamo tutti renderci conto – spiega Monica Lafon di Pelgic Life – che dobbiamo unire i nostri sforzi per arrivare a un cambiamento positivo" della salute dei nostri mari. Un modo per invertire una caccia senza quartiere che, al contrario delle leggende, sono gli squali a soffrire per mano dell'uomo. In un anno si calcola che ne vengono pescati oltre 100 milioni, magari per il consumo delle sole pinne particolarmente apprezzate dalla cucina cinese. Con la crescita dell'economia in Cina è infatti salita la domanda e in Messico é partita una caccia indiscriminata. I primi segnali, secondo Pelagic Life, da parte dei pescatori locali sono incoraggianti e la maggiore cooperativa locale sta collaborando al progetto. Fino a ora sono 100 gli squali salvati.(ANSA).

    [size=12pt]Un tempo era possibile osservare il fantastico scenario offerto dal fenomeno dell’aurora boreale fin sul bacino centrale del Mediterraneo. [/size]

    La testimonianza diretta del singolare evento arriva proprio dagli antichi romani. Nel 37 a.c., l’imperatore Tiberio osservò da Roma un esteso fascio di luci rosse provenienti dal quadrante occidentale (verso il mar Tirreno) che illumino d’improvviso il cielo dall’oscurità della notte. Stupito dall’insolito fenomeno, Tiberio, decise di inviare alcune squadre di uomini verso il litorale di Roma, per comprendere la natura del fenomeno. In un primo tempo si penso ad un grande incendio scoppiato sul litorale. Ma le squadre inviate sul posto non trovarono alcuna traccia. Dichiarando allo stesso Tiberio di non aver osservato nulla, a parte delle strane scie luminose colorate di rosso che libravano nel cielo della notte, sopra le acque del mar Tirreno. E’ chiaro che l’insolito fenomeno può essere attribuito all’aurora  boreale. Anche nei tempi medievali, quando l’attività solare era piuttosto intensa, troviamo  parecchie testimonianze di affascinanti aurore che illuminavano i cieli del Mediterraneo (inclusa l’Italia), forse legate ad una attività solare molto forte. Forse non sarà un caso se in quel periodo si sperimento il periodo del cosiddetto “optimum climatico medioevale”, fra l’anno 1000 e il 1200-1300, una fase climatica piuttosto calda, tanto che in Inghilterra e in Scozia si coltivava la vite.

    FONTE: METEOWEB

    Dissetarsi in estate è una necessità, ma purtroppo spesso ci si imbatte in bevande dannose per la salute che non ci si aspetta di incontrare. Il caldo è un nemico subdolo, soprattutto quando  è veramente insopportabile, e può essere causa di colpi di calore che vanno combattuti, come tutti ormai ben sanno, bevendo parecchio, molto più del solito, solo che a volte si fanno le scelte sbagliate, anche se inconsapevolmente, e si assumono bevande che di salutare hanno veramente ben poco. Nulla è meglio di un bel bicchier d’acqua, semmai con l’aggiunta di una fettina o di un po’ di limone spremuto, ma invece ci si fa irretire dalle tante bevande che fanno bella mostra di sé sui banchi dei supermercati, che in molte occasioni invece sarebbe meglio evitare.

    Succhi di frutta, bevande gassate, acqua aromatizzata e tante altre ancora, sono tutte bevande che, di primo acchito, sembrano dissetare, me dopo pochi minuti ci si ritrova nelle stesse condizioni di arsura di prima. I malpensanti, o forse solo i più maliziosi, potrebbero anche pensare che questo sia voluto, un po’ come avviene con gli snack per nulla sazianti ma che fanno crescere il giro vita, per cui una bottiglia tira l’altra, a tutto vantaggio del produttore e con scarsi vantaggi, se non addirittura danni, per l’assetato consumatore.

    Ma vediamo quali sono queste bevande poco raccomandabili che sarebbe meglio evitare, in particolar modo  per dissetarsi.

    I succhi di frutta, tanto amati dagli italiani, quelli confezionati ovviamente, che hanno avuto negli anni passati il loro periodo di gloria anche grazie a campagne pubblicitarie molto ben orchestrate. In questi, in quasi tutti almeno, la presenza della frutta è del tutto occasionale, si potrebbe dire, mentre invece sono a base di acqua addizionata da coloranti e zuccheri artificiali. All’atto dell’acquisto bisognerebbe leggere attentamente l’etichetta, e non dare solo una frettolosa occhiata alla data di scadenza, in modo da verificare le reali quantità di frutta in esso contenute. La soluzione migliore, se proprio si vuole bere un succo di frutta, è quella della preparazione casalinga, cosa che consente anche di verificare lo stato della frutta utilizzata, mentre questo nei succhi confezionati è un controllo impossibile da fare.

    Nel periodo estivo in particolar, fanno la loro comparsa le bevande a base di acqua aromatizzata alla frutta, ovviamente, e negli ultimi anni anche a base di fiori. La presenza dei tanto pubblicizzati Sali minerali o vitamine è incerta, mentre è quasi sempre certa la presenza di coloranti e conservanti. La soluzione migliore, come detto anche in precedenza, è un bicchiere d’acqua con l’aggiunta di limone o di una foglia di menta.

    Gli energy drink potrebbero essere una buona soluzione se invece non fossero, come quasi sempre accada, eccessivamente ricchi di caffeina e di zuccheri raffinati, che danno una carica pressoché immediata, anche se altrettanto rapidamente questa si esaurisce, ma che qualche danno all’organismo lo fanno, proprio per l’eccessiva loro concentrazione. La soluzione migliore, se si vuole una bevanda energetica, è quella della preparazione casalinga di un bel tè verde freddo, con una spruzzata di limone.

    Tanto per restare in argomento, il tè freddo confezionato è quasi sempre eccessivamente ricco di coloranti e conservanti, oltre che del solito zucchero raffinato. Bisogna tener presente che le bevande zuccherate sono dei falsi dissetanti, mentre fanno assorbire una gran quantità di zuccheri, cosa molto poco raccomandabile.

    Infine, le bevande gassate. Il fascino delle bollicine, anche se non si sta parlando di spumante, è sempre irresistibile, solo che di buono hanno ben poco. A parte il fatto che sono una delle principali cause del gonfiore intestinale, in quanto l’organismo non riesce ad eliminare i gas in eccesso, sono anche spesso troppo ricche di zuccheri raffinati e sono state accostate ad obesità e diabete. Quindi, per dissetarsi, la cosa migliore a farsi le bevande in casa, senza zucchero e senza nessun’altra cosa che possa essere dannosa per la salute.

    Fonte: tuttasalute.net

    Da aggiungere che di contro sudare molto e bere molta acqua porta a perdere molti sali minerali: mangiare quindi molta frutta fresca che contiene anche fruttosio (zucchero altamente digeribile), acqua e vitamine… esistono poi integratori da aggiungere all'acqua per compensare le perdite ;)

    [size=14pt]La cernia dei coralli….. [/size]

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    ….è un abile cacciatore, veloce nell'inseguire e nell'attaccare la preda in mare aperto. Ma quando la preda si infila nelle fessure e negli anfratti della barriera corallina, questo pesce ricorre a una sorta di linguaggio dei segni per chiedere rinforzi.

    Il pesce infatti "chiama in aiuto" altri due predatori, la murena gigante e il labro Napoleone, aspettando anche 25 minuti che uno dei due si presenti sulla scena.  Lo rivela un nuovo studio apparso ad aprile 2013 su Nature Communications. Quando uno di questi due pesci arriva, la cernia indica col naso la preda nascosta e comincia a scuotere il corpo. È  un segnale che equivale a suonare il campanello per chiamare tutti a tavola: il pranzo è servito!

    E a quel punto la squadra di "killer" di varie specie si mette al lavoro. Il labro è quello forzuto, che si lancia contro la barriera corallina e la fa a pezzi, costringendo la preda a scappare per evitare di restare ferita.

    "Il labro ha delle fauci possenti, e può distruggere tane che non siano costruite particolarmente bene", afferma il co-autore dello studio Redouan Bshary, etologo dell'Università di Neuchâtel, in Svizzera. "Questi pesci sono in grado di rompere il corallo."
    "Così, per evitare di essere schiacciata insieme al suo rifugio, la preda esce dalla tana", continua Bshary, che ha osservato questi comportamenti durante le immersioni effettuate nelle spedizioni di ricerca nel Mar Rosso.

    Pur non avendo questa capacità distruttiva, le murene non sono meno letali. I loro corpi sottili permettono loro di penetrare nelle fenditure dei coralli per inseguire la preda al loro interno. Se poi il pesce riesce a sfuggire sia al labro che alla murena, allora la cernia ha una chance in più di procurarsi un pasto.

    "Infatti, anche se hanno imparato a lavorare in squadra, i pesci non condividono il cibo", sottolinea Bshary. "Chiunque conquisti la preda, la divora tutta intera."

    Anche se, in questo modo, più partecipanti competono per una sola fonte di cibo, le cernie hanno più successo lavorando in gruppo.
    Quando cacciano da sole, infatti, catturano una preda ogni 20 tentativi, afferma Bshary. "Quando invece ricevono aiuto, il risultato è decisamente migliore: circa un tentativo su sette va a buon fine".

    Caccia di gruppo

    Le cernie ricorrono al linguaggio dei segni anche per una "chiamata alle armi". A volte, ancor prima che la preda sia stata avvistata, si avvicinano a un labro o a una murena scuotendo il corpo, movimento che viene interpretato come una richiesta di cacciare in squadra. Il trio inizia quindi a pattugliare l'oceano utilizzando ognuno le proprie capacità specifiche.

    "Vanno a cacciare insieme", spiega Bshary, autore dello studio. "Vederli arrivare tutti assieme e cominciare a ispezionare la zona è uno spettacolo abbastanza impressionante".

    Gli scienziati non hanno ancora capito perché le cernie siano in grado di comunicare con altre specie. Mentre è risaputo che gli eseri umani, le scimmie antropomorfe e alcuni uccelli sono in grado comunicare, la comunità scientifica finora riteneva che il minuscolo cervello di un pesce non fosse adeguato a questo scopo.

    Bshary e il suo gruppo hanno collezionato molte ore sott'acqua per studiare lo stravagante balletto della cernia. "In genere si pensa che sia necessario avere un cervello di grandi dimensioni per poter comunicare gestualmente", afferma Bshary. "Questa scoperta invece dimostra che le abilità cognitive sono indipendenti dalla dimensione del cervello".

    Il prossimo passo, continua il ricercatore, sarà ripetere l'esperimento portando queste specie all'interno di un laboratorio, per capire quali altri segreti potrebbero nascondersi dietro gli strani segnali della cernia.

    Autore: Mollie Bloudoff-Indelicato
    Fonte: nationalgeographic.it
    Fotografia di Reinhard Dirscherl, WaterFrame/Getty Images

    [size=14pt]..Un tubo nel cielo[/size]

    Il sito della NASA che raccoglie le immagini astronomiche del giorno ha pubblicato questa immagine, corredata da una spiegazione molto più semplice di quello che si possa immaginare. Quella fotografata sulla spiaggia  di Las Olas a Maldonado, in Uruguay, ormai qualche anno fa, ma che non smette di essere riproposta in rete, è infatti una cosidetta nube a rullo:

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    Si tratta di una formazione nuvolosa allungata e piuttosto rara che può formarsi nelle vicinanze di un fronte freddo in avanzamento. Una corrente d'aria discendente proveniente da un fronte temporalesco provoca il sollevamento dell'aria umida e il suo successivo raffreddamento, formando una nube. Quando questo accade in maniera uniforme lungo un fronte esteso si forma una nube a rullo. Questo tipo di nubi ha effettivamente dell'aria che circola lungo l'asse orizzontale della formazione.

    Fotografia di Daniela Mirner Eberl/NASA
    FONTE: nationalgeographic.it

    [size=12pt]Andare al mare fa bene, può persino essere miracoloso ecco perchè [/size]

    Il mare è un ambiente unico e benefico nel quale il nostro organismo si rigenera e si rilassa.

    Le vacanze al mare, oltre ad essere un momento di divertimento, sono utili per alleviare alcuni malesseri, come per esempio problemi dermatologici e le allergie respiratorie. I campi nei quali il mare apporta benefici alla nostra salute non finiscono così ma comprendono l’osteoporosi, la ritenzione idrica e le patologie di tipo reumatico.

    L’aria marina è ricca di iodio, di potassio e di altri sali minerali che si sviluppano in seguito all’azione dell’acqua sulla riva, questo fenomeno è ancora più evidente quando il mare si infrange sugli scogli. Quando si sta a riva, si può usufruire di un aerosol salutare a costo zero utile per tutti ed in particolare per chi ha problemi di tipo respiratorio.

    Al mare si migliora la circolazione e diminuisce la ritenzione idrica. Per ottenere questi benefici, è sufficiente camminare con le gambe immerse nell’acqua oppure posizionarsi sul bagnasciuga sfruttando il massaggio della risacca.

    L’acqua marina, ricca di sali, favorisce l’eliminazione dei liquidi in eccesso, combattendo contemporaneamente anche il gonfiore. Se si soffre di cattiva circolazione e vene varicose, è bene proteggere le gambe dall’azione diretta dei raggi, prediligendo le ore meno calde o stando spesso in acqua e sotto l’ombrellone. Per accentuare l’effetto benefico dell’acqua di mare, è opportuno praticare attività fisica e seguire una dieta ricca di acqua e verdura.

    Le vacanze al mare portano giovamenti anche a chi soffre di osteoporosi. Questa è fra le patologie più pericolose perchè non dà sintomi e spesso viene scoperta quando ha già procurato numerosi danni. Per combattere questa malattia, nota anche come “ladro silenzioso”, è fondamentale l‘esposizione solare, da effettuare sempre con i dovuti accorgimenti. E’ bene evitare le ore centrali della giornata, cioè quelle comprese fra le 11.00 e le 16.00, utilizzando anche una crema solare adeguata.

    I raggi del sole hanno un’importanza fondamentale perchè favoriscono la produzione di vitamina D che è indispensabile per la salute delle ossa. Il sole è benefico a tutte le età, nei bambini previene il rischio di rachitismo e garantisce un corretto sviluppo scheletrico. Il sole è ideale per il benessere fisico ma anche per quello psicologico perchè migliora l’umore e ci rende più rilassati e felici.

    L‘acqua marina è un valido aiuto anche per la nostra cute e chi soffre di problemi come arrossamenti o eczemi. Questi benefici sono possibili grazie alla presenza di alcune sostanze, tra le quali il sodio; i bagni al mare, salvo diversa indicazione specialistica, sono indicati anche per i pazienti affetti da psoriasi o da chi deve curare delle ferite.

    In spiaggia, si può sfruttare anche la sabbia che diventa un buon supporto per camminare o correre, smaltendo molte calorie. E’ adatta anche per ottenere un effetto benefico se si soffre di artrosi o di problemi reumatici; alcune sabbie sono particolarmente calde e quindi più adatte per effettuare le sabbiature.

    I numerosi effetti positivi che il mare sortisce sulla nostra salute sono alla base dei centri di talassoterapia dove è possibile immergersi in speciali piscine usufruendo di percorsi benessere appositamente studiati per ritrovare la perfetta forma fisica e la salute.

    Eleonora Casula – tuttasalute.net

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    L'autore di queste "architetture" sul fondo del mare non è un alieno degli abissi, ma il maschio di una specie di pesce palla recentemente scoperta, del genere Torquigener, che in questo modo attira l'attenzione della femmina.

    Queste strutture circolari larghe due metri furono avvistate per la prima volta una ventina d'anni fa in Giappone, vicino all'isola di Amami-Oshima. La loro origine è rimasta a lungo misteriosa, ma un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports ha svelato l'arcano: si tratta "nidi" che questo pesce palla maschio, lungo meno di 13 centimetri, crea con il suo corpo, strusciandosi sulla sabbia in modo da produrre collinette e avvallamenti.

    Questo lavoro meticoloso gli porta via circa 10 giorni, e comprende non solo la costruzione dell'architettura, ma anche la sua decorazione, costituita da disegni irregolari nella parte più interna del cerchio e da conchiglie e frammenti di corallo sulle collinette più esterne.

    Quando una femmina giunge nelle vicinanze, il maschio solleva la sabbia fine del cerchio più interno del nido, pronto ad affrontare l'ispezione femminile; se il giudizio è positivo, lei depone le uova al centro del nido e se ne va.

    Non è ancora chiaro quali siano i criteri di valutazione della femmina, se si basino sui disegni centrali, sulle decorazioni esterne o sulla dimensione e la simmetria del nido. Tuttavia, è probabile che la dimensione abbia un suo peso: un nido più grande potrebbe suggerire che l'autore sia forte e prestante.
    Non solo il maschio costruisce il nido, ma si dedica anche alle cure parentali: una volta che la femmina se ne è andata, resta a vegliare le uova fino alla schiusa, che avviene sei giorni dopo la deposizione.

    Fotografia per gentile concessione di Kimiaki Ito
    Fonte: nationalgeographic.it

    [size=14pt]Il viaggio segreto dello squalo balena[/size]

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    Il pesce più grande del mondo è un formidabile migratore, secondo i risultati di uno studio di localizzazione che ha mappato i lunghi viaggi intorno al Golfo del Messico e ai Caraibi di alcuni squali balena che si radunano, per nutrirsi, in una zona al largo della penisola dello Yucatan.

    Anche una sola incredibile nuotata di uno squalo balena, di 7.200 chilometri, potrebbe contribuire a risolvere un mistero di lunga data: dove partoriscono gli squali balena? L'evento non è mai osservato da alcuno scienziato.

    Il più ampio studio mai condotto sulle migrazioni dello squalo balena, che ha richiesto nove anni di rilevamenti, ha mostrato che le centinaia di animali delle dimensioni di uno scuola-bus che si riuniscono periodicamente in una zona ricca di plancton al largo della costa messicana arrivano da lontano.

    Questo gigante gentile – che può raggiungere più di 12 metri di lunghezza e pesa in media 5 tonnellate – si nutre filtrando plancton, di piccoli pesci o uova.

    È risaputo che gli squali balena si radunano per nutrirsi in una dozzina di luoghi privilegiati, dall'Australia occidentale all'Indonesia e al Belize. Ma tra maggio e settembre le acque dello stato messicano di Quintano Roo, nella parte nord-orientale della penisola dello Yucatan, attraggono un numero molto maggiore di animali rispetto ad altre zone: più di 800 esemplari in una sola stagione.

    "Da questo punto in cui si alimentano, gli animali viaggiano su vaste aree della regione: nel Golfo del Messico, più a sud verso il Mar dei Caraibi, attraverso gli Stretti di Florida fino all'Oceano Atlantico aperto", spiega Robert Hueter, direttore del Center for Shark Research del Mote Marine Laboratory in Florida e tra gli autori dello studio. "Abbiamo scoperto animali che sono tornati per sei anni. Chiaramente ritornano per fare rifornimento di cibo per buona parte del resto dell'anno".

    Questa disponibilità regolare di squali balena nel sito ha suggerito a Hueter, nel 2003, di iniziare ad accumulare dati applicando targhette agli animali e usando la localizzazione satellitare. Lo studio, portato avanti dal Mote Marine Lab e dalla Commissione Nazionale delle Aree Naturali Protette del Messico, è durato nove anni.

    Secondo Mike Maslanka, direttore del Department of Nutrition Science allo Smithsonian's National Zoo di Washington, D. C., la quantità di tempo investito e i dati raccolti dagli studiosi sono eccezionali.

    "Il lavoro che svolgiamo d'estate quando gli animali si ritrovano per mangiare fornisce soltanto 'un'istantanea' della vita di uno squalo balena", dice. "Questi sforzi di seguire gli animali nei loro spostamenti ci consentono invece di scoprire qualcosa in più su cosa accade negli altri momenti. Senza ricorrere a questo rilevamento non potremmo sapere nulla di quella parte della loro vita. È la cosa più bella di questa ricerca".

    Maslanka aggiunge che "Queste creature sono così enormi che pensare che 'scompaiano' è a dir poco sorprendente. Si tratta del pesce più grande dell'oceano e non sappiamo dove si trovi per sei mesi all'anno".

    Tra gli oltre 800 individui studiati, un animale in particolare si è distinto. Una femmina matura e presumibilmente gravida, soprannominata Rio Lady, è stata seguita nel corso di un'odissea di 7.800 chilometri, fino a quando, dopo cinque mesi di osservazione, la sua targhetta non si è staccata.

    "Ha semplicemente continuato ad andare", dice Hueter. "Ha nuotato tra il Brasile e l'Africa, fino ad oltrepassare l'equatore, ed è lì che se ne sono perse le tracce".

    Ma lo studio del suo viaggio e altre osservazioni di squali balena in quelle zone sperdute potrebbero aiutare a rispondere a una domanda che ha assillato gli studiosi di squali balena per anni: dove sono tutte le femmine? Nelle acque di Quintana Roo più del 70 per cento degli esemplari sono maschi, e anche in altri assembramenti nel mondo si osserva lo stesso sbilanciamento di genere.

    "Non è possibile che una popolazione rimanga stabile con tutti quei maschi. È qualcosa che non si osserva in natura", dice Hueter. "Le femmine devono trovarsi da qualche parte, e crediamo che quelle gravide effettuino lunghe migrazioni verso il centro dell'oceano, vicino a montagne sottomarine o isole sperdute … e che partoriscano lì", spiega Hueter. "Nelle zone costiere in cui si radunano per nutrirsi, per i piccoli – che appena nati sono lunghi meno di un metro – potrebbe essere più alto il rischio di essere predati".

    "Riteniamo che l'ipotesi sia corretta, ma non è ancora stata verificata. Vedremo se questo accadrà nei prossimi anni", aggiunge lo studioso.

    In natura sono stati osservati pochi squali balena molto giovani. Scoprire dove nascono questi animali, secondo Maslanka, rappresenta "il 'sacro graal' della biologia dello squalo balena".

    Ma il punto non è semplicemente capire in quale o quali aree si trovino i piccoli. Di certo scoprirlo porterebbe a una comprensione migliore della biologia di base dello squalo balena, ancora lacunosa perché gran parte della vita di questi animali si svolge lontano dai nostri occhi.

    "In una prospettiva di gestione dell'ecosistema, sarebbe importante assicurare che quell'area venisse tutelata, in modo che gli animali possano continuare a crescere indisturbati", conclude lo studioso.

    Utilizzare questo tipo di ricerche per capire dove viaggino, si nutrano e si riproducano questi animali è la chiave per proteggere una specie sempre più amata non solo dagli ecoturisti.

    "È il pesce più grande dell'oceano, ed è rappresentativo della salute di ecosistemi marini", dice Maslanka. "Potrebbe avere il ruolo di 'ambasciatore per la tutela degli oceani', specialmente nella striscia di mare intorno all'equatore".

    Ma, come sottolineano alcuni ricercatori del gruppo di Huetere, la tutela di animali che viaggiano su così grandi distanze richiederà una cooperazione internazionale, perché la loro comparsa in una determinata zona potrebbe dipendere, in altre stagioni, da risorse che si trovano a molte centinaia di chilometri di distanza.

    E anche se il loro accoppiamento rimane un mistero, studi genetici suggeriscono che lo scambio di geni tra squali balena avvenga tra animali che si spostano su vaste aree geografiche, e che esistano soltanto due grandi metapopolazioni: una nell'Atlantico e un'altra nell'Indo-Pacifico.

    Ogni popolazione richiede una gestione su larga scala. L'intera specie è attualmente classificata come "vulnerabile" dalla Lista Rossa delle Specie Minacciate della International Union for Conservation of Nature (IUCN), e in alcune acque asiatiche viene ancora cacciata per le pinne e l'olio che se ne può ricavare.

    Secondo Hueter ci sono buone possibilità che lo squalo balena possa essere protetto, con un processo che, nell'area da lui studiata, è già iniziato, grazie alla decisione del governo messicano di rendere le aree "di raduno" una Riserva della Biosfera dello Squalo Balena.

    Bisogna fare ancora di più, sottolinea, ma la sopravvivenza di questa specie giustifica del tutto l'impegno necessario.

    "Si tratta del pesce più grande che sia mai vissuto", dice Hueter, che lo definisce un animale "carismatico". "Non è pericoloso per le persone che amano osservarlo e nuotarci. Potrebbe essere il più grande animale del pianeta a cui è possibile avvicinarsi in natura senza correre alcun pericolo".

    di Brian Handwerk per nationalgeographic.it
    Fotografia di Mauricio Handler, National Geographic Stock
    (La ricerca sullo squalo balena è stata finanziata parzialmente da una donazione della National Geographic Society).

    [size=14pt]Lo sguardo ingannevole del pesce damigella[/size]

    Alcuni animali hanno macchie a forma di cerchi scuri circondati da un anello colorato, a simulare un'iride intorno a una pupilla, su diversi punti del corpo. Secondo uno studio condotto dall'ARC Centre of Excellence for Coral Reef Studies (CoECRS) e pubblicato di recente su Scientific Reports, la dimensione di questi "falsi occhi" – e dei veri occhi  –  di cui sono dotati i giovani pesci damigella della Grande Barriera Corallina australiana sarebbero condizionate dalla presenza o meno di predatori nelle prime fasi della vita.

    I falsi occhi si trovano in diverse specie di pesci sia di mare che d'acqua dolce, oltre che in molti insetti terrestri, specialmente nei lepidotteri; di solito su parti del corpo non vitali. Anche se il loro significato evolutivo è ancora oggetto di dibattito, la loro diffusione in specie diverse spinge i biologi a ritenere che svolgano un ruolo importante per la sopravvivenza, deviando gli attacchi dei predatori verso parti del corpo meno importanti, o anche spaventandoli.

    La funzione del "falso occhio" sulla pinna dorsale posteriore del pesce damigella di Ambon (Pomacentrus amboinensis) sarebbe proprio quella di trarre in inganno i predatori, inducendoli a sferrare il proprio attacco in direzione della coda piuttosto che della testa.

    "Pensiamo che queste macchie portino il predatore ad avventarsi sull'estremità 'sbagliata' del pesce, lasciandogli la possibilità di scappare accelerando nella direzione opposta", spiega Oona Lönnstedt della James Cook University di Townsville, in Australia, tra gli autori dello studio, "e che riducano anche il rischio di ferite mortali alla testa".

    In natura anche altre specie ricorrono a espedienti estetici simili per ottenere un risultato analogo. Per esempio, la colorazione scura dell'estremità della coda nelle donnole dalla coda lunga (Mustela frenata) bianche in ambienti innevati devia l'attacco dei falchi verso un punto "sbagliato".

    Il nuovo studio ha indagato per la prima volta come l'esposizione continua ai predatori influenzi lo sviluppo dei falsi occhi dei pesci damigella e, più in generale, l'aspetto – lunghezza e spessore, dimensione del falso occhio e dell'occhio  –  e il comportamento di questi animali. Quindi le loro possibilità di sopravvivenza.

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    I giovani pesci damigella oggetto dello studio e alcuni esemplari del predatore Pseudochromis fuscus sono stati raccolti nei reef della parte settentrionale della Grande Barriera Corallina australiana intorno alla Stazione di Ricerca di Lizard Island per poi essere inseriti in una serie di vasche appositamente progettate: ognuna conteneva una sezione principale riservata al predatore, separata tramite una pellicola trasparente forata da comparti più piccoli, che ospitavano i pesci damigella.

    In questo modo le prede, oltre che vedere il predatore, potevano sentirne l'odore. Per rendere l'ambiente il più possibile simile a quello naturale, inoltre, le vasche erano all'aperto e venivano irrorate di acqua dell'oceano.

    Una procedura sperimentale analoga è stata poi ripetuta sostituendo però il pesce predatore con un pesce erbivoro (Amblygobius phalanea), per testare l'effetto di un'altra specie non predatrice, e lasciando crescere il pesce damigella isolato.

    Monitorando il comportamento dei pesci con uno specchio sospeso su ogni vasca e tramite una rete immersa al suo interno – per quantificarne i movimenti contando il numero di volte che i pesci la attraversavano – i ricercatori hanno scoperto che l'esposizione a stimoli visivi e olfattivi del predatore modificava il comportamento delle prede rendendole più "caute": andavano meno in cerca di cibo, restavano più a lungo nei rifugi e, in generale, riducevano i propri livelli di attività.

    Ma l'effetto non si limitava al comportamento. Dopo sei settimane di osservazione, infatti, i pesci avevano sviluppato falsi occhi più grandi rispetto a quelli dei compagni cresciuti in presenza del pesce erbivoro o in isolamento, mentre le dimensioni dei loro veri occhi si erano ridotte.

    Inoltre i pesci "minacciati" avevano sviluppato un corpo più massiccio, caratteristica che, oltre a renderli meno semplici da ingerire, ne migliora velocità, accelerazione e manovrabilità.

    Quando i giovani pesci damigella sono stati rilasciati in mare – ognuno in una colonia di corallo (Pocillopora damicornis) ben circoscritta  –  i biologi hanno osservato che la percentuale di sopravvivenza dei pesci che erano stati esposti ai predatori superava notevolmente quella degli altri, se si pensa che dopo 72 ore ne erano stati predati soltanto il 10%, contro il 60% dei pesci cresciuti con il pesce erbivoro o isolati.

    Questo risultato, oltre a sottolineare l'importanza che può rivestire l'esperienza dei predatori nella prima fase della vita, "è una prova del fatto che la strategia del falso occhio funziona: aumenta davvero le possibilità di sopravvivenza dei giovani pesci", spiega Lönnstedt.

    "E dimostra che anche un pesce molto giovane e lungo soltanto pochi millimetri è in grado di sviluppare una serie di strategie di sopravvivenza da sfoderare quando si sente minacciato", conclude la ricercatrice.

    di Valentina Tudisca per nationalgeographic.it
    Fotografia di Dave Fleetham/Design Pics/Corbis

    La contaminazione da mercurio potrebbe essere più estesa del previsto: lo indica la scoperta che anche i microrganismi che vivono nell'oceano aperto, e non solo quelli delle coste, convertono il mercurio inorganico in una sostanza tossica che può essere assimilata dai pesci.
    La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, si deve al gruppo coordinato da Joel Blum, dell'università del Michigan, e chiarisce il mistero di come il mercurio contamini il pesce in mare aperto.
    I dati indicano che la quantità di mercurio negli oceani aumenterà nei prossimi decenni e, nel Pacifico in particolare, potrebbe raddoppiare entro la metà del secolo.

    I ricercatori mostrano che l'80% della forma tossica del mercurio presente nei pesci dell'Oceano Pacifico settentrionale, e chiamata metilmercurio, è prodotta nelle profondità oceanica dai batteri che si cibano di materia organica.
    Per nutrirsi, i batteri scompongono la materia organica e trasformano il mercurio presente in essa nella forma tossica. Disciolto in acqua, il mercurio contamina la catena alimentare marina e arriva anche all'uomo, che lo assimila soprattutto consumando pesci di grossa taglia, come pesce spada e tonno.
    Gli effetti sulla salute umana possono includere danni al sistema nervoso centrale, al cuore e al sistema immunitario. Ad essere particolarmente vulnerabile è il cervello in via di sviluppo nei feti e nei bambini.

    E' noto da tempo che i grandi pesci predatori marini contengono alti livelli di metilmercurio, ma finora non era molto chiaro il perché. Ora si è scoperto che, nel determinare la quantità di mercurio tossico contenuto nei pesci, la profondità alla quale una specie si ciba è importante quasi quanto la sua posizione nella catena alimentare perché è al di sotto di 50 metri dalla superficie che è presente la maggior parte del mercurio tossico.

    Scoprirlo è stato possibile analizzando campioni di tessuto prelevati da nove specie di pesci (fra cui tonno pinna gialla, tonnetto striato, pesce luna, pesce spada e il pesce lanterna) che si nutrono a diverse profondità e pescati in una regione vicino alle Hawaii. ''Abbiamo scoperto – osserva uno degli autori, Brian Popp, dell'università delle Hawaii – che i predatori che si nutrono a maggiori profondità, come il pesce luna e il pesce spada, hanno concentrazioni di mercurio più elevate di quelli che si nutrono nelle acque vicino alla superficie, come il tonno pinna gialla''.

    fonte: ANSA

    [size=12pt]La ridistribuzione delle precipitazioni potrebbe fare inaridire Medio Oriente, West Usa ed Amazzonia[/size]

    Secondo uno studio pubblicato dai ricercatori del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University su Proceedings of the National Academy of Sciences, «mentre gli esseri umani continuano a riscaldare il pianeta, uno spostamento verso nord delle ‘cinture’ di vento e pioggia della Terra potrebbe rendere una vasta banda di regioni più secche anche in Medio Oriente, West americano e Amazzonia, rendendo inoltre l’Asia monsonica e l’Africa equatoriale più umide».

    Gli scienziati americani basano la loro previsione sul riscaldamento che ha fatto uscire il pianeta dall’ultima glaciazione, circa 15.000 anni fa. Con il riscaldamento dell’Oceano Atlantico settentrionale si cominciarono a sciogliere i ghiacci marini dell’Artico, creando contrasto di temperatura con il Sud del mondo, dove il ghiaccio marino si stava espandendo intorno all’Antartide.

    Il gradiente di temperatura tra i poli sembra aver spinto la cintura tropicale della pioggia ed il jet stream delle medie latitudini nord, ridistribuendo l’acqua in due bande intorno al pianeta. Attualmente, con il ghiaccio marino artico di nuovo in regresso e l’emisfero settentrionale in riscaldamento più veloce di quello meridionale, la storia potrebbe ripetersi.

    Secondo il principale autore dello studio, il climatologo Wallace Broecker, «se i tipi di cambiamenti che abbiamo visto durante la deglaciazione dovessero verificarsi oggi, avrebbero un impatto molto grande».

    Confrontando i dati climatici raccolti da tutto il mondo, dagli anelli di crescita degli alberi, carote di ghiaccio polari, formazioni rupestri e sedimenti oceanici, Broecker ed il suo collega Aaron Putnam ipotizzano che le cinture di vento e pioggia si siono già spostate a nord circa 14.600 e 12.700 anni fa, mentre l’emisfero nord si stava scaldando.

    Al margine meridionale della cintura tropicale della pioggia, il grande antico lago Tauca, nelle Ande boliviane si era quasi prosciugato, mentre i fiumi nel Brasile orientale erano diventati ruscelli e le stalagmiti nella stessa regione avevano smesso di crescere. Alle medie latitudini, lo spostamento del jet stream a nord potrebbe aver provocato la riduzione del lago Lisan, un precursore del Mar Morto nella Rift Valley giordana, insieme a diversi laghi preistorici negli Stati Uniti occidentali, compreso il lago Bonneville dell’odierno Utah.

    Nel frattempo, uno spostamento verso nord delle piogge tropicali fece ingrossare i fiumi del Bacino Cariaco in Venezuela e dei laghi Vittoria e Tanganica nell’Africa orientale. Le Stalagmiti nelle grotte di Hulu, in Cina, diventarono più grandi ed anche le carote di ghiaccio trivellate in Groenlandia mostrano un rafforzamento del monsone asiatico durante lo stesso periodo.

    Il team della Columbia University ha lavorato a ritroso, dal 1300 circa al 1850, ed ipotizza che un fenomeno simile si sia verificato nell’Europa settentrionale con la transizione dalla relativamente calda epoca medievale ad un periodo più freddo noto come la Piccola Età Glaciale. Con la circolazione oceanica e l’espansione del ghiaccio nel nord Atlantico, ci furono record climatici spettacolari.

    Allo stesso tempo, le precipitazioni diminuirono nell’Asia monsonica, provocando una serie di siccità   che sono state collegate all’improvviso declino della civiltà Khmer in Cambogia, della dinastia Ming in Cina ed al crollo dei regni negli attuali Vietnam, Myanmar e Thailandia.

    Nell’emisfero meridionale, la ricostruzione dell’estensione dei ghiacciai delle Alpi neozelandesi del suggerisce che le medie latitudini durante il medioevo potrebbero essere state più fredde, sostenendo l’idea di un contrasto di temperatura tra i due emisferi che ha alterato la circolazione di pioggia e venti.

    I ricercatori del Lamont-Doherty Earth Observatory avvertono che «una migrazione simile delle cinture di vento e di pioggia della Terra avviene ogni anno. Durante l’estate boreale, la cintura di pioggia tropicale e la corrente a getto delle medie latitudini migrano a nord, mentre l’emisfero nord si riscalda in modo sproporzionato al sud, con i continenti che assorbono l’energia del sole. Mentre l’emisfero nord si raffredda in inverno, i venti e le piogge tornano a sud. A volte i venti e le piogge si sono riorganizzate per lunghi periodi di tempo. Negli anni ‘70 e ‘80, uno spostamento verso sud della fascia tropicale, attribuito a inquinamento dell’aria, con un raffreddamento dell’emisfero settentrionale, che si pensa abbia provocato la devastante siccità nella regione del Sahel in Africa».

    La cintura tropicale della pioggia è poi ritornata al suo posto ma ora potrebbe essersi rispostata verso come suggerito da una serie di recenti siccità, anche in Siria, Cina settentrionale, West Usa e nord-est del Brasile.

    Coerentemente con lo studio, almeno un modello climatico mostra lo spostamento della cintura di pioggia tropicale verso nord, mentre aumentano i livelli di CO2 e salgono le temperature. «E’ davvero importante guardare e dati paleo – Questi cambiamenti sono stati enormi, proprio come ci aspettiamo che avvenga con il global warming».

    Il ricercatori della Colombia University riconoscono che le loro ipotesi hanno dei “buchi”: «In passato, i cambiamenti nella copertura del ghiaccio marino hanno condizionato il gradiente di temperatura tra i due emisferi, mentre oggi ne sono responsabili le emissioni industriali di carbonio in rapido aumento. Finora, non c’è inoltre alcuna prova evidente che la circolazione oceanica sia in aumento nel Nord Atlantico o che le piogge monsoniche dell’Asia si stiano rafforzando (anche se c’è una speculazione sul fatto che gli aerosol di solfati prodotti dalla combustione di combustibili fossili potrebbero mascherare questo effetto)».

    Per Jeff Severinghaus, un climatologo della Scripps Institution of Oceanography, che non ha partecipato allo studio, ci potrebbe essere addirittura un effetto inaspettato: «Con il declino dell’inquinamento atmosferico nell’emisfero nord, le temperature potrebbero riscaldare, creare il tipo di contrasto di temperatura che potrebbe spostare i venti e le piogge di nuovo a nord. Gli aerosol di solfati probabilmente saranno  ripuliti nei prossimi decenni a causa dei loro effetti sulle piogge acide e la salute. Così Broecker e Putnam avranno probabilmente una solida base per prevedere se il riscaldamento del Nord finirà per superare notevolmente il riscaldamento del sud».

    FONTE: greenreport.it

    [size=12pt]E' un grande 'vulcano di fango'[/size]

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    E' destinata d una vita breve e a scomparire in poche settimane, la piccola isola generata dal violento terremoto che il 24 settembre ha colpito il Pakistan. Ne sono convinti i sismologi, che escludono comunque un legame diretto fra il terremoto e l'affiorare dell'isolotto a forma di mezzaluna, lungo circa 200 metri, largo 100 e alto una ventina di metri.

    ''Si esclude che l'isola sia nata dalla deformazione causata dalla faglia a causa della grande distanza, di circa 500 chilometri'', osserva il sismologo Gianluca Valensise, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). ''Piuttosto – aggiunge – potrebbe essere un effetto indiretto del terremoto''. Quest'ultimo potrebbe avere generato pressioni elevate che avrebbero causato la liquefazione dei sedimenti sottomarini, che potrebbero essere emersi in superficie attraverso una frattura. Il fondale, poco profondo in quel punto, avrebbe fatto il resto.

    Per i sismologi del Servizio di sorveglianza geologica degli Stati Uniti (Usgs) potrebbe essere un grande vulcano di fango, paragonabile a quelli, molto più piccoli, portati in superficie dal terremoto in Emilia Romagna del 2012. ''Sono fenomeni piuttosto simili, anche se su scala molto diversa'', osserva Valensise. Isole effimere generate dallo stesso meccanismo sono nate anche in passato, come quelle generate nel 1945 e nel 2001 dal terremoto di Makran, scomparse nell'arco di un anno. Vulcani di fango si sono formati inoltre nell'Azerbaijan nel 1902, in Mongolia nel 1957 e nel 2006), a Sumatra nel 2004.

    Intanto, per studiare meglio il fenomeno, gli esperti sono in attesa delle prime immagini dell'isola prese dai satelliti, mentre i curiosi di tutto il mondo stanno già inviando dei tweet agli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale nei quali chiedono se hanno già le prime foto dell'isola.

    FONTE E FOTO: ANSA 25 settembre ore 19:00

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