Sea fishing Social
Il caricamento...
Sea Fishing Forum
Parlare di tutto ciò che vuoi!
Forum › PESCA ALL’INGLESE & BOLOGNESE › Pesca con la bolognese in mare – Estratto
Manuale: Pesca con la bolognese in mare – Estratto
La versione integrale del manuale si trova anche sotto forma di file PDF (cioè di documento che contiene sia testo che immagini) che può essere:
– Consultato direttamente online e sfogliabile come se fosse un libro da questo Link:
http://www.calabriapescaonline.it/book/Pesca+con+la+bolognese+in+mare+rev/
– Oppure scaricato sul proprio computer se qualcuno desidera archiviarlo.
In questo secondo caso, per poterlo leggere, è necessario che sul proprio computer sia installato un programma che consenta di leggere i file PDF, scaricabile gratuitamente da Internet: Adobe Reader, PDF X-Change Viewer, Nitro PDF Reader, Foxit Reader, ecc. Una volta installato il programma, è sufficiente un doppio click sul file PDF per aprirlo.
Link per il download:
Il manuale è suddivviso in 14 capitoli e a 12 di essi è dedicato un post a se stante per renderlo più facilmente consultabile.
Contenuti:
1. Prefazione
2. Considerazioni da tener presenti
3. Le canne
4. I mulinelli
5. I fili
6. Gli ami
7. I galleggianti
8. Accessori indispensabili
9. Calamenti
10. La cassetta dei ricambi
11. L’importanza delle correnti e della pasturazione
12. Le esche
13. Gli spot
14. F.A.Q.
Prefazione
Come vuole la tradizione, l’origine della canna bolognese con gli anelli ha visto la luce nella provincia emiliana nel primo dopoguerra per mano di due negozianti di articoli da pesca bolognesi, Vigarani e Paolucci, grandi appassionati di pesca. I due pescatori bolognesi ebbero l’idea di applicare gli anelli ad una canna ad innesti in bambù, di lunghezza attorno ai quattro metri. Gli anelli erano di filo metallico e la sede del mulinello era costituita da due ghiere in ottone: l’attrezzo era ovviamente pesante se valutato con i criteri di oggi, ma consentiva di pescare in un raggio d’azione impensabile con la canna fissa. Se è possibile fare un raffronto fra le canne ed i mulinelli, già da allora questi ultimi erano molto più evoluti perché esistevano ottimi modelli nati per lo spinning, che potevano essere utilizzati tranquillamente sulla bolognese. Da allora le canne bolognesi si sono evolute massimamente grazie all’evoluzione dei materiali: prima l’arrivo del fiberglass, poi l’impatto del poliestere (fenolico) ed infine la rivoluzione del carbonio hanno consentito la produzione di attrezzi sempre più leggeri e rigidi, maneggevoli e resistenti. Le prime bolognesi di quattro metri si appoggiavano all’inguine durante la passata, tanto erano pesanti, mentre oggi si pesca con la massima disinvoltura con le otto metri per una giornata intera tenendo la canna in mano.
Come tante altre discipline nate in acque interne, anche la pesca con la bolognese prese la via del mare, dapprima timidamente e poi sempre con maggior intensità sino a diventare uno dei metodi di pesca maggiormente praticati dai pescatori italiani, in quanto in termini di quantità e di qualità di catture ben poco ha da invidiare ai più tradizionali metodi di pesca a fondo. Ci sono persino pescatori che in tutta la loro vita praticano esclusivamente la pesca con la bolognese.
Considerazioni da tener presenti
Affinché la pesca con la bolognese dia i suoi migliori risultati (o anche semplicemente perché dia qualche risultato), non si può prescindere da due elementi fondamentali rappresentati dalla corretta pasturazione (brumeggio) dello spot e dalla presenza di correnti della giusta consistenza. In mancanza dell’una e/o delle altre, la possibilità di allamare qualche pesce è puramente casuale, discontinua o addirittura assente: rischiamo di trascorrere una giornata a pesca veramente frustrante, noiosa e piena di insofferenza, come se stessimo pescando nella nostra vasca da bagno piena solo… d’acqua.
Dopo una giornata buca, istintivamente siamo portati a pensare che ormai in mare non ci siano più pesci (ed indubbiamente il nostro mare si è impoverito in modo pauroso), ma al 90% questo accade perché non abbiamo pasturato, oppure abbiamo pasturato in modo non corretto, oppure il mare è assolutamente piatto, senza un filo di corrente che faccia fluttuare almeno un pochino la nostra esca, o ancora stiamo pescando ad un’altezza dal fondo non idonea a quelle determinate condizioni meteomarine del momento.
Naturalmente possiamo incappare in giornate negative anche se abbiamo operato secondo tutte le regole, ma questo accade non perché non ci siano più pesci in mare, ma semplicemente perché quel giorno, in quello spot, i pesci non ne vogliono assolutamente sentire di mangiare, magari perché i venti o le correnti non sono adatti, o magari perché circolano in zona predatori che li tengono in tana, o semplicemente perché… non è sempre festa!
Se incappiamo in una di queste giornate, non sarebbe male riportare sul nostro calendario o nella nostra agenda un report delle condizioni che abbiamo trovato quel giorno e fare tesoro di questa esperienza negativa per evitare di incappare negli stessi errori nella nostra futura battuta di pesca. Se arrivati nel nostro spot le ritroviamo identiche, inutile perdere tempo con tentativi: ci programmiamo da subito una battuta di pesca in un altro spot, ma senza demoralizzarci, anzi caricandoci di un rinnovato entusiasmo.
La pesca con la bolognese e la pesca all’inglese sono, per molti versi, molto simili. La differenza fondamentale è che la pesca con la bolognese da la sua miglior resa a breve distanza dalla nostra postazione ed in condizioni di mare calmo o poco mosso, con correnti deboli o non molto sostenute. In tutte le altre condizioni in cui sia necessario ottenere maggiori distanze dalla nostra postazione e con condizioni più ‘allegre’ di mare e correnti, è meglio fare la pesca all’inglese.
Se non conosciamo quali condizioni ci aspettano nel nostro spot, sarebbe sempre meglio portarsi dietro sia la canna bolognese che quella inglese, per poi utilizzare quella più adatta alle condizioni che troveremo.
Le canne
Premetto subito che, dopo esserci impadroniti della pesca in mare con la bolognese, la scelta di una nuova canna diventerà esclusivamente una questione di preferenze talmente personali che potrebbero anche contrastare con quelle che sono le così dette caratteristiche 'canoniche' che dovrebbe avere la canna ideale per quella circostanza particolare, e lo spiego con due esempi.
Pescando su un fondale medio alto, poniamo di 6 metri, con un terminale zavorrato con la spallinatura, la logica imporrebbe di usare una canna lunga 7 metri: ebbene, sono invece tantissimi quei pescatori che si trovano meglio a pescare su questi fondali con una canna di appena 4 metri, sostituendo la spallinatura con una torpilla ed il galleggiante fisso con uno scorrevole. Hanno imparato a ‘far lavorare’ il terminale armato di torpilla in modo tale che i risultati in termini di catture siano del tutto simili a quelli del terminale spallinato. Se questo pescatore decide di acquistare una nuova canna, perché magari costruita con una tecnologia più moderna, sicuramente si orienterà su una lunghezza di 4 metri.
Viceversa, ci sono pescatori che preferiscono usare sempre una canna da 7 metri anche su fondali bassi, poniamo di 3 metri, perché hanno imparato a gestire questo ‘cannone’ talmente bene da preferirlo ad una più snella canna corta. La scelta di una nuova canna sarà orientata sempre su una lunghezza di 7 metri, ma magari costruita con una tecnologia tale da renderla leggera come una piuma (nanofibre).
Altro motivo di scelta del tutto personale è la rigidità della canna: a molti che preferiscono una canna ‘mollacciona’ (parabolica) su cui poter montare fili sottilissimi, p.e. una lenza madre col diametro di 0.10 mm ed un bracciolo di 0.06 mm, si contrappongono altri che preferiscono esclusivamente canne super extra rigide (azione di punta), su cui montare una madre da 0.18 mm ed un bracciolo di 0.16 mm (per contrastare p.e. pesanti prede dalla scogliera), in quanto hanno acquisito una tale esperienza che con questa canna, pur mettendosi al riparo dalla graditissima sorpresa di un pesce di taglia, riescono ad allamare anche pesciolini lunghi solo come un dito. Pertanto sia gli uni che gli altri sono in grado sia di prendere pesciolini che di far fronte ad una grossa preda (anche se i secondi hanno maggiori probabilità di successo nel salparla), e non scambierebbero l’azione della propria canna neanche se vanno contro oltre ogni logica o regola 'canonica': è uno di quei casi in cui trova conferma il vecchio adagio “vale più la pratica della grammatica”.
Nota: ovviamente tutti i pesci che non rientrano nella loro taglia minima vanno rilasciati.
Ma un novizio della pesca con la bolognese, nell'acquisto della sua prima canna, non dovrebbe mai imitare le scelte di questi vecchi pescatori incalliti, perché la sua esperienza ancora acerba lo porterebbe solo ad accumulare delusioni. Pertanto, per il momento, è meglio che il novizio lasci perdere queste scelte personalissime e si basi invece sulle proprietà 'suggerite' che deve avere la canna da usare in ogni precisa circostanza. Avrà tutto il tempo in seguito per acquistare quella canna che rientra nei suoi gusti personali che nel frattempo avrà maturato.
Le ‘regole canoniche’ suggeriscono di utilizzare una canna parabolica, armata con fili sottili, se nello spot che si intende frequentare sono maggiormente diffusi quei pesci che, pur rientrando nella taglia minima consentita, non superano una determinata stazza, e quindi il pericolo di rotture è molto limitato.
Viceversa, se nello spot è segnalata con buona frequenza la presenza di pesci di taglia (p.e. da 1 kg in su), sarebbe buona norma orientarsi su canna di punta su cui montare fili più grossi che possono contrastare con maggior sicurezza le sfuriate di queste prede. Nell’attesa che questi abbocchino, con questa canna sarà comunque sempre possibile allamare i pesci piccoli.
Per potersi regolare su quale tipo di canna orientarsi, prima dell’acquisto un novizio dovrebbe frequentare gli spot in cui intende praticare questa disciplina ed osservare il tipo di prede che vengono maggiormente pescate. Naturalmente, se dispone di un buon budget, si può superare il dilemma acquistando entrambi i tipi di canna…
La maggior parte dei produttori oggi limita la produzione di canne bolognesi con lunghezze che vanno dai 5 agli 8 metri, e su alcuni modelli si limitano alle sole lunghezze di 6 e 7 metri, in quanto sono le misure più richieste. Per la pesca in mare, la lunghezza più richiesta in assoluto è la 6 metri, in quanto questa canna si adatta facilmente sia a fondali bassi che alti, ed è su questa lunghezza che i produttori hanno concentrato la loro miglior tecnologia, conferendo a questa canna doti di robustezza e di leggerezza pur conservando al pedone diametri contenuti. Ovviamente, se la qualità dei materiali è eccelsa, le canne al 'top' avranno prezzi proibitivi per la stragrande maggioranza dei pescatori, ma se si utilizzano materiali meno costosi il loro prezzo sarà più accessibile, pur conservando ancora una buna qualità.
Scarseggiando le 4 metri (almeno quelle di buona qualità), i cultori della bolognese corta preferiscono ricorrere alla versione telescopica delle match rods, le tipiche canne ‘all’inglese’, che anche in questa versione, dal punto di vista tecnologico e della robustezza, sono ormai del tutto alla pari con le 'sorelle' in tre pezzi. Oppure alle canne da trota, dei veri e propri gioielli tecnologici.
Un parametro importantissimo da tener presente in una canna bolognese è il suo peso (a cui bisogna aggiungere quello del mulinello), in quanto questo tipo di pesca si effettua, per la maggior parte della durata di una battuta, praticamente tenendo la canna sempre in mano, che con il trascorrere delle ore porta ad un naturale intorpidimento del braccio: se l’abboccata avviene in uno di questi momenti di ‘crisi’, il nostro braccio potrebbe non essere in grado di sostenere nel modo più ottimale la lotta con la preda, portandoci ad azioni scomposte o a forzature che potrebbero far cedere la tenuta del bracciolo o del piccolissimo amo.
Purtroppo nelle canne di ottima fattura il peso è inversamente proporzionale al prezzo: a parità di lunghezza, più il peso si abbassa e più sale il prezzo. La diminuzione del peso si ottiene utilizzando tessuti di carbonio in cui gli spazi tra fibra e fibra non sono colmati esclusivamente dalle resine di consolidamento ma da speciali microfibre (dell’ordine di pochi micron, µ) che hanno un peso specifico di gran lunga inferiore a quello delle resine, e che per di più conferiscono una maggior resistenza al tessuto di base (nanotecnologia).
Per abbattere i costi e rendere i prezzi al pubblico più accessibili, alcuni modelli, pur mantenendo un’ottima robustezza, lo fanno purtroppo a discapito del loro peso e del diametro più grosso delle loro sezioni, in quanto si fa un maggior ricorso alle resine di consolidamento, le cui molecole hanno peso e dimensioni maggiori delle microfibre. Chi purtroppo non può disporre di un budget elevato (cioè la maggioranza dei pescatori), si deve ‘accontentare’ di queste canne, alcune delle quali mantengono comunque prezzi non certamente popolari (da 180 a 220 €).
Chi può disporre solo di un budget molto basso (60-80 €) non è certamente tagliato fuori dalla pesca con la bolognese, ma deve mettere in conto che per sorreggere canne che mantengono un’ottima robustezza dovrà fare i conti con il loro peso, per cui dovrà ricorrere a mezzi sostitutivi del braccio per sostenere la canna durante l’attesa dell’abboccata (piccolo treppiede, sgabelli dotati di porta canne, puntalini da sabbia e così via). Una di queste canne è per esempio la Colmic Tindal, dal costo di 50 €, capace di sollevare a ‘peso morto’ ben 5 kg, ma il cui peso (sommato a quello del mulinello) non consente di tenerla costantemente in mano per tutta la durata della battuta. Per contro, questa canna ha un diametro degli elementi veramente contenuto.
L’altro parametro importante da tener presente è la parabolicità (in pratica la rigidezza) della canna. La scelta della canna in base a questo criterio è ciò che mette più in difficoltà il novizio della pesca con la bolognese: canna dall’azione parabolica o canna dall’azione prettamente di punta? Quale comprare?
Come accennato nella premessa di questo capitolo, questo dubbio non lo avremo più una volta che diventeremo delle vecchie volpi in questa disciplina, in quanto la nostra scelta si baserà esclusivamente sui nostri gusti personali che avremo affinati col tempo (e sarà solo il nostro budget a condizionarci).
Un criterio di giudizio che può dare una grossa mano al novizio è quello di valutare a fondo le proprie reali ‘intenzioni’ di pesca: interessa di più la quantità o la qualità delle prede?(*)
Poniamo che nei nostri spot preferiti siano maggiormente presenti pesci che si aggirano intorno ai 400 – 500 gr e che le prede di grossa taglia siano rarissime: in questo caso dobbiamo orientarci su una canna parabolica che ci consenta di montare fili molto sottili. Una canna parabolica, infatti, in virtù della sua maggior elasticità, assorbe la maggior parte del carico di elasticità che in qualche modo impedisce la rottura dei sottilissimi fili (in parole povere, ‘lavora più la canna del filo’). Al contrario, se preferiamo invece puntare su prede di grossa taglia, anche se più rare, e non vogliamo rischiare che ci facciano schiantare l’apparato pescante, la nostra scelta dovrà ricadere su canne più rigide che ci consentono di montare fili di diametri più grossi (in questo caso, ‘lavora più il filo della canna’). In questo secondo caso, dobbiamo mettere in conto che dobbiamo anche armarci di santa pazienza in attesa che si presenti una preda di taglia.
L’azione della canna viene indicata dal produttore in vari modi:
• da un numero da 1 a 10 (in cui l’1 indica la canna più parabolica, mollacciona, ed il 10 la canna ad azione di punta più rigida). A volte il numero è preceduto dalla lettera A (Azione): A1, A2,…. A5, A8… A10.
• dal range del suo cast espresso in grammi: 5-15 gr, 10-30 gr, 30-80 gr, 50-120 gr…
• dalla descrizione dell’azione: Medium, Fast, Strong, Extra Strong…
Ci sono da notare due cose:
• non tutti i produttori stampigliano l’azione sul fusto della canna, ma si limitano a farne la descrizione solo sui loro cataloghi (alcuni neanche sui cataloghi)
• le azioni non sono standardizzate ma solo indicative.
Pertanto non è detto che un’azione 5 di una canna Daiwa corrisponda esattamente all’azione 5 di una canna Maver, e non è detto che l’azione 5 di un modello della Daiwa corrisponda all’azione 5 di un altro modello della stessa Daiwa. E dirò di più: a volte non c’è neanche una corrispondenza esatta dell’azione tra gli stessi modelli della medesima Casa che abbiano lunghezze diverse, in quanto più è lunga la canna maggiormente si deve diversificare la sua lavorazione per cercare di ottenere l’identica azione della canna più corta (in un modello di canna ad azione di punta, è più facile e meno costoso ottenere la rigidezza nel modello più corto che non nel medesimo modello più lungo). Per ottenere l’identica azione sugli identici modelli ma di lunghezze diverse, occorrono lunghi studi tecnici e continue prove, con conseguente lievitazione dei prezzi.
L’azione dichiarata, in ogni caso, ci da comunque un’indicazione sul comportamento di una canna per orientarci nella sua scelta. Personalmente adotto un metodo empirico per orientarmi se un tipo di canna corrisponde a ciò che desidero, che se pure non mi da la soluzione esatta dell’azione dichiarata dal produttore, mi da però la risposta esatta su quelle che sono le mie precise esigenze. Quando devo acquistare una nuova canna devo chiaramente avere in mente il modello (di cui ho letto le caratteristiche sul catalogo), la lunghezza ed il tipo di azione: poniamo che queste siano una lunghezza di 6 mt ed un’azione extra strong. Mi reco dal mio negoziante di fiducia con una busta in cui ho messo il mio mulinello preferito per la bolognese, con imbobinato il filo che preferisco, ed un piombo da 200 gr. Mi faccio dare quella canna, ci monto il mulinello, passo il filo in tutti gli anelli e ci lego il piombo. Apro quindi tutti gli elementi (se non ha spazio in negozio mi metto sul marciapiede) e ‘testo’ in questo modo l’azione della canna controllandone la curvatura: se la canna è rigida proprio come voglio io, i primi tre elementi (vetta, sotto vetta e sotto-sotto vetta) dovranno assumere la curvatura che mi sono prefissato, mentre tutti gli altri dovranno essere coinvolti solo molto marginalmente. Vi assicuro che un piombo da 200 gr, fuori dall’acqua, testa la rigidità della canna allo stesso modo che, nella realtà, fa una preda di buona stazza.
Alcune case, nei loro cataloghi, suggeriscono anche il tipo di pesca in cui utilizzare le loro bolognesi ed i rispettivi diametri dei fili da montare in bobina, la qual cosa ci può dare una valida indicazione su quale canna orientarci.
Riassumendo, i parametri che dobbiamo tenere presenti nell’acquisto di una bolognese sono:
• un budget molto preciso ma soprattutto definitivo: se pensiamo che tra un mese, p.e., riusciamo a racimolare altri 30 € da aggiungere al nostro budget, è un grave errore farci prendere dalla fretta ed acquistare subito la canna, perché i 30 € di differenza, che di per sé non rappresentano una cifra esagerata, possono invece essere quelli che fanno la differenza tra una canna buona ed una canna super (tenete presente che il periodo di crisi in cui stanno versando i negozianti li porta a fare delle ottime offerte)
• non trascurare il mercato dell’usato: un amico o un conoscente può avere la necessità di realizzare, qualche pescatore vuole rinnovare l’attrezzatura e vende per racimolare qualche soldo, qualche altro ha cambiato decisamente tipo di pesca, e così via
• gli spot che frequentiamo maggiormente ed i tipi di pesci maggiormente presenti in quegli spot
• la nostra indole, se siamo cioè pescatori pazienti disposti ad attendere che abbocchi la grossa preda, oppure se vogliamo stare sempre attivi durante l’azione di pesca e pertanto dedicarci alla pesca di piccoli pesci (ma sempre rientranti nelle misure minime)
• definire in modo preciso (cioè senza auto imbrogliarci) se la pesca con la bolognese rientra tra i tipi di pesca che praticheremo con la stessa passione che dedichiamo agli altri tipi (beach, surf, PAF, traina, spinning…..), oppure è un tipo di pesca che praticheremo molto saltuariamente o solo per colmare i vuoti delle nostre altre attività, nel qual caso non vale assolutamente la pena investire in attrezzatura dai costi elevati (e neanche medi…)
• la qualità degli anelli passafilo. In una bolognese non è assolutamente necessario che gli anelli passafilo abbiano la stessa elevata qualità che debbono invece avere, p.e., gli anelli di una canna da surf casting o da spinning, se non forse l’anello apicale ed i due, massimo tre subito precedenti. Gli anelli di buona fattura possono incidere anche per un terzo (e a volte anche di più) sul prezzo finale di una bolognese. Se possediamo la passione del fai da te, siamo in grado di risparmiare una certa cifra acquistando direttamente il ‘blank’ (la canna nuda) e montando da noi anelli e placca porta mulinello
• controllare sempre le caratteristiche tecniche della canna dichiarate dai loro produttori nei cataloghi (che trovi quasi tutti raccolti nell'apposita sezione di CPOL).
Nella versione integrale del manuale è riportata un’ampia rassegna di Case produttrici e di modelli di canne, a partire da pag. 17:
http://www.calabriapescaonline.it/book/Pesca+con+la+bolognese+in+mare+rev/
I mulinelli
La caratteristica dei mulinelli da bolognese è la loro taglia molto contenuta, che va dal numero 500 al numero 2500. Montare mulinelli di taglia superiore su una bolognese non solo è inutile, ma è anche controproducente, perché non fanno altro che appesantire la canna senza restituire vantaggi significativi.
Il tallone d'Achille dei mulinelli da bolognese di basso costo è rappresentato dalla frizione, elemento fondamentale per questo tipo di pesca. Avendo a che fare con fili sottilissimi, la frizione di questi mulinelli non deve essere buona, deve essere perfetta. Ecco perché non ci deve stupire che alcuni mulinelli in miniatura a volte costino il doppio di pari mulinelli di misura maggiore usati per esempio a fondo. Ma anche la meccanica deve essere perfetta, con gli ingranaggi composti da materiali selezionati che non si usurino o si blocchino dopo le prime 'testate' di quei pesci che abbiamo sempre pensato si potessero catturare solo in sogno.
Esistono tre tipi di frizione, quella con la manopola di comando montata nella parte anteriore, quella con la manopola di comando montata nella parte posteriore e quelli dotati di doppia manopola, una anteriore ed una posteriore (doppia frizione). Alcuni modelli di mulinello dotati di comando posteriore o di doppio comando (anteriore e posteriore) hanno in dotazione anche un terzo comando costituito da una levetta situata sulla manopola posteriore, la cui funzione è principalmente quella di ammorbidire o di indurire istantaneamente la frizione durante la fase di combattimento: mantenendo la levetta in posizione centrale, la frizione resta regolata sul carico di rottura preimpostato da noi, mentre spostandola tutta a sinistra o tutta a destra possiamo ammorbidire od indurire questa taratura all’istante. Riportando la manopola al centro, viene ripristinata la taratura preimpostata. Ovviamente si può posizionare la leva in varie posizioni intermedie tra le tre descritte:
La maggiore o minore efficacia di un sistema di frizione rispetto all'altro non è scontato, in quanto dipende dalla marca e dal modello del mulinello, per cui abbiamo certi modelli in cui funziona meglio la frizione anteriore ed altri invece in cui funziona meglio quella posteriore. Personalmente preferisco il sistema della frizione posteriore dotata di levetta istantanea, in quanto mi è tornata utilissima durante i combattimenti più impegnativi.
Una prerogativa molto importante della frizione è la sua progressività costante. Cerco di spiegare questo concetto con un esempio: ammettiamo che per passare dalla posizione di bobina completamente libera a quella di bobina completamente bloccata occorrano 5 giri del pomello di comando. Se la progressività della frizione è costante, al secondo giro la bobina si indurisce per un quarto, al terzo giro si indurisce a metà, al quarto giro si indurisce per tre quarti e al quinto giro la bobina è bloccata. Prendiamo in considerazione il passaggio dal quarto al quinto giro della manopola e immaginiamo che sulla manopola ci siano segnate 8 tacche:
Quando giro il pomello dalla tacca 0 alla tacca 1, la bobina si indurisce un pelino di più. Quando giro il pomello dalla tacca 1 alla tacca 2, la bobina si indurisce ancora un altro pelino, e così via passando dalla tacca 2 alla 3, dalla 3 alla 4, ecc. Quando arrivo alla tacca 7, la bobina è durissima, ma non ancora bloccata, perché il blocco totale deve avvenire solo quando arrivo nuovamente alla tacca 0.
Questo è quello che intendo per frizione progressiva costante, che sembra un dato scontato ma invece non lo è assolutamente, se il mulinello non è di ottima qualità. La maggior parte dei mulinelli a basso costo hanno una frizione molto irregolare, per esempio al quarto giro bloccano la bobina quando ancora manca da fare un giro completo del pomello di comando, oppure tengono la bobina morbidissima quando sono già al terzo giro, anziché indurirla a metà, e così via.
La progressività costante della frizione è importantissima in quanto mi consente di regolarla sul carico di rottura del filo del bracciolo (l’anello più debole della catena), perché la frizione non ha solo il compito di stancare il pesce, ma anche e soprattutto quello di evitare la rottura del sottilissimo bracciolo durante il tira e molla con lui. In pratica, il pesce va stancato indurendo la frizione ma tenendo contemporaneamente sotto stretto controllo il carico di rottura del filo più a rischio (cioè il bracciolo): quando sentiamo che questo limite sta per essere superato, dobbiamo allentare la frizione, per poi subito riportarla al limite del carico di rottura quando il pesce si concede una pausa, e poi nuovamente allentarla quando riprende la sua fuga. Queste operazioni vanno ripetute sino alla resa finale del pesce.
A seconda del filo utilizzato, per tarare la frizione sul suo carico di rottura potrebbero bastare solo pochi giri del pomello di comando: prendendo come esempio il caso precedente, cioè una frizione che è chiusa al massimo con 5 giri del pomello, potrebbero essere sufficienti solo 4 giri, oppure 3 o magari 3,5. Purtroppo l’unico sistema per calcolare con esattezza il numero dei giri del pomello necessari per tarare la frizione sul carico di rottura del bracciolo può essere solo meccanico (anche se alcune case lo dichiarano sulla ‘carta’): possiamo per esempio legare il bracciolo ad un secchio pieno d’acqua e tentare di sollevarlo, e nei vari tentativi tarare la frizione su qualche tacca antecedente a quella in cui il filo si rompe. Supponiamo che il bracciolo si rompa con la frizione tarata su 4 giri più 3 tacche: torniamo indietro di 3 tacche e sappiamo che quando il pesce ci fa slittare la frizione durante il combattimento, siamo vicinissimi al carico di rottura del bracciolo:
• se stringiamo di più per forzare il recupero, il bracciolo si spacca
• se per tutto il combattimento la manteniamo costante sulla pre-taratura, basta anche un piccolissimo imprevisto perché il bracciolo si spacchi comunque.
Non ci resta che allentare in ogni caso la frizione ed aspettare che il pesce si dia una calmata dopo le sue sfuriate, per riportare la frizione alla sua pre-taratura (ed ecco l’enorme vantaggio di disporre del comando aggiuntivo sulla frizione posteriore, che riporta la frizione all’esatta pre-taratura iniziale senza agire sui comandi principali, che nella fase concitata del combattimento potremmo anche non riposizionare nel punto calcolato con tanta cura nelle nostre sperimentazioni con il secchio.
Altra cosa importante da tenere sempre presente è che la frizione ‘non deve fare tutto da sola’, ma che una grossissima mano nello stancare il pesce gliela deve dare la canna.
Abbinando quindi la flessibilità della canna alla taratura della frizione corriamo meno rischi di rottura. Naturalmente dobbiamo tener presente l’assoluta assenza di ostacoli durante la fase del combattimento: un mare ‘aperto’ davanti a noi ed un fondale privo di intralci ci danno grandi possibilità di guadinare anche una bestiolina di 5 kg… La pesca nei porti, nei porticcioli, nei massi frangiflutto e nei fondali misti, se da una parte rappresentano degli ottimi spot per le maggiori possibilità di abboccata, dall’altra sono anche gli spot più a rischio per la presenza di ostacoli.
Nella versione integrale del manuale è riportata un’ampia rassegna di Case produttrici e di modelli di mulinelli, a partire da pag. 44:
http://www.calabriapescaonline.it/book/Pesca+con+la+bolognese+in+mare+rev/
I fili
Se su una cosa non possiamo assolutamente lesinare, questa è l’assoluta bontà dei fili da usare con la bolognese. Mentre in altre discipline di pesca un diametro più elevato può sopperire ad una qualità non troppo eccelsa del filo, nella pesca con la bolognese l’estrema sottigliezza delle ‘bave’ (come vengono definiti i fili più sottili in certe regioni italiane) non sono assolutamente compatibili con la loro qualità dozzinale: la qualità non deve essere buona, non deve essere super, ma deve essere eccelsa. Certamente i fili di questa qualità costano molto di più, ma per superare facilmente questo gap ponetevi sempre questa domanda quando siete dal vostro negoziante: vale la pena rischiare di perdere la preda che abbiamo sognato per giorni, per settimane o magari per mesi solo per non ‘cacciar fuori’ qualche euro in più?
Il carico di rottura di questi fili sottilissimi è importantissimo, ma non fatevene abbagliare troppo, perché anche altre caratteristiche possono avere la stessa importanza, se non anche di più: la resistenza all’abrasione, la resistenza ai raggi U.V., la scarsità di memoria meccanica, la resistenza alla salinità, l’inalterabilità dovuta all’allungamento, la scarsità di cristallizzazione, la morbidezza…
Così come è avvenuto per gli ami, anche per i fili i migliori produttori sono diventati i giapponesi. Chiaramente il termine generico ‘giapponese’ non è forzatamente sinonimo di ottima qualità (anche in Giappone esistono produttori di cose buone e meno buone), ma sicuramente i migliori fili al mondo vengono prodotti in Giappone, così come i migliori ami di piccolissime dimensioni che si usano con la bolognese.
Personalmente però da anni e anni mi trovo benissimo con una casa del tutto italiana, la genovese GruppoDP, i cui fili non hanno mai avuto carichi di rottura eccezionali, ma le altre qualità che ho descritte più sopra le ho sempre riscontrate.
Per quanto riguarda i diametri da usare, ci sono pescatori che utilizzano fili ‘da brivido’ per gli spot che io sono solito frequentare: in bobina lo 0.10, come bracciolo lo 0.06. Non so quali prede riescano a contrastare con questi fili, so solo che personalmente, nei miei spot, mi troverei in difficoltà anche con uno sparlotto. Comunque più è sottile il filo che usiamo, più la canna deve essere parabolica. Chi invece preferisce le canne rigide (come il sottoscritto) deve salire di diametro, che salvo casi eccezionali non dovrebbe superare lo 0.16 in bobina e lo 0.12 come bracciolo, che sono sufficienti per combattere anche contro prede di una certa taglia.
Diametri più grossi sarebbe meglio non usarli, non tanto per la loro maggior visibilità (basterebbe usare il fluorocarbon e saremo a posto), quanto perché conferiscono all’esca un movimento non troppo naturale che potrebbe insospettire i pesci, come spiegato nel capitolo apposito “L’importanza delle correnti e della pasturazione”, più avanti.
Nella versione integrale del manuale è riportata una rassegna di modelli di fili, a partire da pag. 73:
http://www.calabriapescaonline.it/book/Pesca+con+la+bolognese+in+mare+rev/
Gli ami
La qualità dell’acciaio degli ami da bolognese deve essere ottima, perché le loro piccole dimensioni devono essere in grado di sostenere il combattimento con prede che potrebbero arrivare anche ai 4/5 kg. Così come avviene per i fili, anche per gli ami i migliori produttori sono i giapponesi, che proprio negli ami di piccole dimensioni dimostrano tutta la loro superiorità sugli altri produttori mondiali.
Nella pesca con la bolognese molto difficilmente viene superata la misura N.10 (da usare esclusivamente per innescare i vermi o i piccoli pezzi di sardina), mentre le misure più diffuse sono la N.12 e la N.14 in quanto l'esca più diffusa è il bigattino, con qualche concessione alle misure N.16 e N.18 quando si innesca un singolo bigattino.
Tra le esche più usate con la bolognese c’è il bigattino, che ha la caratteristica di possedere una pelle abbastanza coriacea a fronte di una scarsa resistenza alla pressione laterale. Siccome il bigattino va escato trapassando la sua pelle per un piccolissimo tratto in modo da rimanere appeso all’amo senza che perda in vitalità, per poter compiere questa operazione senza ‘spremere’ la larva è indispensabile che l’amo abbia una punta molto più acuminata di quella di un ago o di uno spillo (cosa che si ottiene mediante un processo chimico e non per affilatura).
Se l’amo non è perfettamente acuminato, la punta trova difficoltà a trapassare la pelle, e se forziamo anche di poco questa operazione il bigattino ci ‘scoppia’ letteralmente tra le dita. Purtroppo una punta così acuminata, che è chiaramente ultra sottile, resiste ben poco alle abboccate: dopo aver allamato 3-4 pesci, quell’amo sarebbe ancora in grado di allamare altri pesci, ma non è più in grado di trapassare altri bigattini. Se non vogliamo che i bigattini ci ‘scoppino’ in continuazione tra le dita, siamo costretti a cambiare amo con una cadenza molto ravvicinata, la qual cosa è davvero una grossa seccatura.
Dobbiamo allora trovare un compromesso tra l’acuminatezza della punta e una sua maggior resistenza all’incoccio con la bocca dei pesci. Scegliamo così un amo che abbia una punta che trapassi comunque la pelle del bigattino senza farlo scoppiare (magari compiendo questa operazione con più attenzione) e che contemporaneamente non sia necessario sostituirlo dopo solo poche abboccate.
Questo inconveniente si presenta però solo con il bigattino, perché con tutte le altre esche possiamo usare ami che abbiano la punta molto più resistente anche se meno acuminata (intendiamoci bene, questi ami hanno comunque una penetrazione eccezionale sia sulle esche che sulla bocca dei pesci, solo che con i bigattini ci troveremo un tantino in più in difficoltà).
Nella versione integrale del manuale è riportata una rassegna di modelli di ami a partire da pag. 83:
http://www.calabriapescaonline.it/book/Pesca+con+la+bolognese+in+mare+rev/
I galleggianti
Una piccola premessa: la bolognese è in grado di effettuare lanci anche ad una certa distanza (anche se non in modo così tecnico come la ‘cugina’ inglese, la match rod), però la sua specialità non è tanto quella di lanciare l’esca quanto di calarla a poca distanza dalla postazione. Pertanto i galleggianti da usare non sono i galleggianti pre-zavorrati (galleggianti inglesi), quanto piuttosto quelli privi di zavorra incorporata. Per chi avesse la necessità di pescare effettuando lunghi lanci, suggerisco decisamente di dedicarsi alla pesca all’inglese.
In ogni caso, volendo, anche sulla bolognese si possono montare i galleggianti inglesi, benché la pesca con la bolognese differisca in molti aspetti dalla pesca all’inglese.
I galleggianti non zavorrati esaltano le caratteristiche della bolognese, che si rivelano soprattutto con la calata dell’esca a pochi metri dalla nostra postazione e facendo trasportare l’esca a distanza (comunque contenuta) dalle correnti: una corretta pasturazione a breve distanza, anch’essa trasportata dalle correnti, sarà la nostra carta vincente.
I galleggianti non zavorrati si distinguono in due tipi: quelli fissi e quelli scorrevoli. Quelli fissi sono così chiamati perché vengono fissati in una determinata posizione sulla lenza madre e li rimangono finché non interveniamo manualmente per spostarli.
I galleggianti scorrevoli hanno invece la possibilità di scorrere autonomamente sulla lenza madre entro i limiti che abbiamo prefissato (nodini di stop)
Il motivo principale che determina l’utilizzo di un tipo di galleggiante rispetto all’altro è principalmente l’altezza del fondale rapportato alla lunghezza della canna. Se per esempio si vuole pescare su un fondale di 10 mt con una canna di 6 mt con i pesci che mangiano sul fondo, è possibile farlo solo usando un galleggiante scorrevole in quanto questo consente all’esca di arrivare sino al fondo. Se invece si vuole pescare su un fondale di 5 mt con una canna di 6 mt con i pesci che mangiano sul fondo, si può usare indifferentemente sia il galleggiante fisso che quello scorrevole.
Un altro motivo potrebbe essere che con il galleggiante fisso si manovra meglio un calamento la cui zavorra è formata da una sequenza di pallini spaccati, viceversa con il galleggiante scorrevole si manovra meglio un calamento zavorrato con una torpilla.
Sia i galleggianti fissi che quelli scorrevoli si distinguono, all’interno di ciascun tipo, in varie forme. Nei galleggianti fissi possiamo distinguere forme a goccia, a goccia rovesciata, a pera, a forma affusolata, a forma tondeggiante…….
Tra i galleggianti scorrevoli distinguiamo quelli affusolati (tra cui gli stick float, dotati di un anellino apicale entro cui scorre la lenza madre), e quelli compatti, in cui la madre scorre parzialmente all’interno del corpo e dentro un anellino alla fine della deriva
I galleggianti hanno diverse grammature, i più utilizzati con la bolognese difficilmente superano i 3 gr, a meno di essere in presenza di forti correnti che richiedono una zavorra più pesante. In genere si attestano sui 2 gr, sia perché le esche hanno un bassissimo peso, sia perché si preferisce mantenere leggeri i calamenti per farli fluttuare meglio in corrente. Con correnti molto deboli danno un grande risultato i galleggianti da 0.5 gr.
Accessori indispensabili
Andare a pescare con la bolognese senza portarsi dietro un guadino vuol dire proprio andarsela a cercare. Sollevare di peso una preda, anche se di medie dimensioni, è sempre un rischio perché si potrebbe spezzare il bracciolo o l’amo, oppure il pesce si potrebbe slamare se del piccolo amo è penetrata solo la punta o se il pesce è stato agganciato in una parte delicata delle labbra. Sono da preferire i guadini tondi od ovali, in quanto non avendo ‘angoli’ come quelli triangolari offrono una maggior superfice di guadinamento laterale:
La sacca porta canne è meglio che sia del tipo che consenta di stivare le canne con i mulinelli ed i calamenti già montati. Specialmente durante la pesca in notturna e in tutti quegli spot disagevoli e con lo spazio limitato, è un grande vantaggio portarsi dietro le canne già armate in casa, limitando quindi le operazioni da farsi in loco alla sola apertura della canna e alla misurazione del fondale:
E’ utilissimo anche uno zaino con varie tasche, in cui trovano posto i contenitori dell’esca, la cassetta dei ricambi, l’abbigliamento anti umidità, la lampada frontale, le pile di ricambio, i contenitori dei galleggianti, svariati stracci per ripulirci o asciugarci le mani, e quant’altro riteniamo possa tornarci utile per una permanenza di molte ore:
La cassetta dei ricambi deve poter contenere le bobine di ricambio dei mulinelli, il rocchetto di filo del bracciolo, galleggianti ‘corti’, ami di riserva (possibilmente già legati per non perdere tempo), ago infila vermi, un paio di piccole pinze da elettronica, slamatore, punteruolo slega nodi, forbici da pesca, un coltello affilato, un coltello da cucina con lama spezzata per aprire le cozze, una scatolina di pallini spaccati e di torpille in varie misure, un rotolino di silicone salvanodo, una scatolina di micro girelle, una scatolina di micro perline, un rotolino di filo da ricamo per fare i nodini di stop e tutto quello che ritenete possa servire a pesca: tenete presente che siete lontani da casa, e tutto quello che serve a pesca o ce l’avete dentro la cassetta o… peggio per voi. Non è necessario portarvi dietro una scorta esagerata di accessori, per una battuta di pesca ve ne bastano pochissimi, l’importante è che vi siate portati dietro almeno un esemplare di scorta di ogni cosa. Prestate molta attenzione nelle giornate ventose: tutto ciò che tenete in bustine o blister è destinato a volarsene via, per cui travasateli in scatoline di plastica.
Per una lunga permanenza a pesca è meglio disporre di uno sgabello in cui sedersi. Per chi ha disponibilità finanziarie, suggerisco caldamente l’acquisto di una di quelle panchette create appositamente per la pesca con la bolognese, che sono di grande utilità in quanto possono sopperire allo zainetto e alla cassetta dei ricambi. In alternativa vanno benissimo sgabelli auto costruiti, sedioline pieghevoli, sedie da regista o similari, su cui sarebbe opportuno montare appositi reggi canna in cui posizionare la canna in attesa dell’abboccata
Un ampio retino porta pesci è utile non solo per conservare vivi i pesci pescati e di conseguenza per mantenerli più freschi, ma anche per tenerli in vita sino a fine battuta in modo da fare la cernita tra quelli da trattenere e quelli da liberare (mi raccomando, che siano i più numerosi possibile….). Se la nostra postazione di pesca ce lo consente, è molto più comodo usare una nassa anziché il retino, in quanto non siamo costretti ogni volta a sollevarla dall’acqua per metterci dentro il pesce:
E’ molto utile anche un secchio munito di sagola per pescare acqua dal mare per lavarci le mani o per depositarvi provvisoriamente il pesce appena pescato prima di trasferirlo nel retino. Se ce la facciamo, non sarebbe male portarsi dietro anche un contenitore ‘tutto fare’ tipo gli ex contenitori di pittura murale opportunamente bonificati (potrebbe sostituire lo zaino).
Calamenti
Nella pesca col galleggiante, si intende per calamento tutta quella parte di lenza che va dal nodino di stop superiore sino all’amo, inglobando quindi anche l’ultimo tratto di lenza madre, in quanto attivamente coinvolta nella parte finale di lenza.
A prescindere dal galleggiante usato (fisso o scorrevole), possiamo distinguere due tipi fondamentali di calamento in base alla zavorra usata:
• calamento zavorrato con pallini di piombo spaccati
• calamento zavorrato con una torpilla
La zavorra va sempre messa sulla lenza madre, mai sul bracciolo, che deve poter compiere liberamente il suo compito fondamentale che è quello di fluttuare tra le correnti. Pertanto mai mettere neanche un pallino sul bracciolo: se le correnti sono molto forti, adotteremo un altro accorgimento per fare in modo che ‘lavori’ sempre al meglio (vedi più avanti L’importanza delle correnti).
La preparazione di un calamento è sempre meglio farla in casa, riservandoci di farla sul luogo di pesca solo in casi di emergenza: la presenza di vento, pioggia, buio (se peschiamo in notturna) e della concitazione dovuta all’azione di pesca non sono elementi che favoriscono un allestimento della canna in piena tranquillità.
La canna pertanto viaggia da casa allo spot già allestita in tutto e per tutto anche per merito dell’utilissimo accessorio avvolgi lenza (la ‘scaletta’).
Se si utilizza un galleggiante scorrevole, saranno indispensabili altri due accessori, e precisamente un rotolino di filo da ricamo per preparare i così detti ‘nodini di fermo’ o ‘nodini di stop’ e due micro perline da bigiotteria dal foro strettissimo. Servono inoltre un rotolino di tubicino in silicone molto stretto ed una micro girella del N. 18 (oppure N.20, N.22 o N.24, a seconda della marca).
Mettiamo quindi sul nostro tavolo di lavoro tutti questi accessori, a cui aggiungiamo il rocchetto di nylon per il bracciolo, la bustina degli ami, un paio di forbicine, una confezione di pallini spaccati, una confezione di torpille e siamo pronti a preparare il nostro calamento:
a. Calamento con galleggiante fisso e pallini spaccati
Preleviamo dalla nostra scatola dei galleggianti fissi un galleggiante a goccia da 2 gr e lo posizioniamo sul tavolo. Quindi montiamo sulla canna (che terremo chiusa) il mulinello già imbobinato e aiutandoci con l’apposito accessorio passafilo (auto costruito con un vecchio vettino e un pezzo di filo di rame) facciamo passare il filo della bobina dentro tutti gli anelli
Infiliamo il galleggiante nella lenza madre, facciamolo risalire per 2 metri e ritagliamo tre spezzoncini dal tubetto di silicone con cui fermeremo il galleggiante sul filo
Adesso leghiamo alla fine del filo la micro girella e posizioniamo i pallini spaccati (per un totale di 2 gr) lungo un tratto di lenza madre di 100 – 150 cm, ponendo il pallino più piccolo vicino alla micro girella, il pallino più grosso a 100 – 150 cm di distanza, e tra l’uno e l’altro tutti gli altri pallini con grossezza decrescente partendo dal pallino più grosso.
Leghiamo ora l’amo al bracciolo (lungo da 150 a 200 cm), avvolgiamo bracciolo e lenza madre (galleggiante compreso) nella scaletta avvolgi lenza e blocchiamo l’avvolgi lenza sul pedone della canna mediante alcuni elastici: la canna è pronta per essere infilata nella sacca porta canne. Una volta nello spot, non ci resta che aprire la canna e misurare il fondale: sposteremo il galleggiante, facendolo scorre sulla lenza madre, in base al fondale trovato (vedi più avanti)
Da sapere sui pallini spaccati
L’argomento sui piombini merita un trattamento molto approfondito, in quanto da essi dipende non solo la perfetta taratura del galleggiante ma l’integrità stessa della lenza.
Quelli che dobbiamo utilizzare sono i piombini calibrati: la particolarità di questi piombini risiede in un taglio perfettamente centrale e nella consistenza del piombo detta consistenza media, cioè non sono né troppo duri ne troppo morbidi. Ciò viene garantito da una piccolissima percentuale di antimonio, che rende la struttura del piombo dura al punto giusto, oltre che a funzionare da anti ossidante (rallenta cioè la formazione di quella patina biancastra che dopo un po’ di tempo si forma sul piombo a causa dell’umidità). La salinità dell’acqua aumenta l’ossidazione dei piombini, che è anche la prima causa del loro sfaldamento: questi piombini deteriorati vanno subito sostituiti usando l’apposita pinza leva piombo creata dall’onnipresente Stonfo:
Ma il vantaggio maggiore dato dai piombini calibrati è il loro perfetto taglio centrale (taglio calibrato, da cui il nome) privo di qualsiasi sbavatura e che consente il loro esatto posizionamento sulla lenza senza che intacchino il filo, uno dei peggiori nemici occulti del nylon. E’ stato calcolato che un piombino tagliato bene ed applicato in modo corretto riduce la tenacità del nylon del 5%, contro il 50% di un piombino tagliato male ed applicato peggio. Inoltre i piombini calibrati sono perfettamente sferici.
La grandezza dei pallini è contraddistinta da un numero, ciascuno dei quali corrisponde ad una determinata grammatura del pallino. Sotto è riportata una tabella di comparazione della numerazione italiana e di quella inglese: mentre la numerazione italiana non è standardizzata (per cui non è detto che un determinato numero di un determinato produttore corrisponda esattamente a quella grammatura), la numerazione inglese è invece standardizzata, per cui ad ogni numero corrisponde una grammatura ben precisa a prescindere dal produttore (notare come, nella tabella inglese, i numeri di certe grammature sono sostituiti dalle lettere dell’alfabeto):
Ogni produttore indica comunque nelle confezioni l’esatta corrispondenza tra i ‘suoi’ numeri e le grammature dei propri pallini.
I piombini calibrati consentono inoltre la loro perfetta centratura sulla lenza, che non è solo una questione estetica, in quanto nei fili più sottili consente alla lenza di distendersi in modo più uniforme sia in fase di pesca che di lancio, limitando i grovigli dovuti proprio al lancio. Per centrare perfettamente un piombino sulla lenza è però indispensabile abbinare il più possibile la grandezza dei pallini al diametro del nylon. Quella sotto è una tabella che indica il rapporto tra la numerazione di un pallino calibrato ed il diametro del nylon a cui andrebbe applicato, per ottenere la centratura del piombino:
Ovviamente ognuno potrà ricavarsi l’esatto abbinamento facendo le dovute proporzioni in base alle indicazioni della tabella. Un esempio di proporzione per i pallini dal N.12 al N.10:
• diametro del nylon 0.05 mm: pallini N.12
• diametro del nylon 0.075 mm: pallini N.11
• diametro del nylon 0.10 mm: pallini N.10
Infine un suggerimento da non sottovalutare: a volte è più conveniente asportare un pallino mal posizionato e metterne uno nuovo, anziché farlo scorrere lungo il nylon. Per chi non vuole perdere tempo, ricordarsi di inumidire sempre il nylon prima di far scorrere i pallini e, soprattutto, non farli scorrere a gruppi ma singolarmente.
b. Calamento con galleggiante fisso e torpilla
La preparazione di questo calamento è identica a quella precedente, solo che i pallini spaccati vengono sostituiti da una torpilla classica o compatta (short diamond drop)
Siccome la torpilla è scorrevole, andrà a battere sul nodo che unisce la lenza madre alla micro girella. Per evitare che il continuo battere della torpilla sul nodo lo usuri (se le torpille sono prive del tubicino di silicone interno), mettere tra torpilla e la girella uno spezzoncino di silicone per fungere da salvanodo. Per tutto il resto, seguire esattamente quanto già visto con i pallini spaccati.
c. Calamento con galleggiante scorrevole e pallini spaccati
Dopo aver passato la lenza madre tra tutti gli anelli come visto in precedenza, farne fuoriuscire circa 2 metri. All’inizio dei 2 metri (cioè vicino all’anello apicale) facciamo un nodino di stop usando il filo da ricamo (vedi più avanti la figura).
Perché usare il nodino di stop anziché il semino di caucciù?
Indubbiamente i semini di caucciù sono di una comodità estrema, però c'è una situazione in cui il loro utilizzo come mezzo di stop per i galleggianti scorrevoli non è consigliato.
Se stiamo pescando su un fondale la cui profondità è uguale o superiore alla lunghezza della canna e se il nostro amo pesca in prossimità del fondo, è sufficiente anche il peso di un pesce sui 500 grammi per vanificare anche ore di tentativi che abbiamo faticato per trovare il fondo giusto.
Facciamo un esempio pratico. La nostra bolognese è di 6 mt, armata con un galleggiante scorrevole perché la profondità del nostro spot è di 7 metri, e quindi dobbiamo prevedere che il pesce possa mangiare in prossimità del fondo, cosa che ci verrebbe impedita dal galleggiante fisso. E guarda caso, proprio quel giorno mangia tutto a fondo, e lo scopriamo dopo aver fatto vari tentativi spostando su è giù il nostro semino di caucciù per aumentare o diminuire il fondale. Agganciamo una spigola da 1 kg, la salpiamo, ci affrettiamo a slamarla, rieschiamo e tutti felici caliamo nuovamente la lenza. Passa un quarto d'ora, passa mezzora, e non vediamo più neanche una toccata. Allora ci diciamo che la spigola ha cambiato l'altezza a cui mangia, magari si è spostata più in alto. Recuperiamo la lenza per abbassare il semino e quindi diminuire il fondo di 50 cm, ma facendo questa operazione ci accorgiamo che… abbiamo si e no due metri di fondo! Ma come è possibile, ci chiediamo, se con la sonda avevamo misurato 7 mt? Per forza che la spigola non stava più mangiando, la nostra altezza era completamente sballata… Ma come è potuto accadere?
Dopo un po’ ci arriviamo: il nostro semino di caucciù, quando stavamo recuperando la spigola, anziché scavalcare l'anello passafilo apicale, vi è rimasto bloccato a causa del peso del pesce, e la lenza ha cominciato a scorrere all'interno del semino, accorciando di fatto il fondale di ben 5 mt. L'acqua presente sul filo ha funzionato da lubrificante, in più era buio e non ci siamo accorti di nulla
Il giorno successivo però non ci facciamo più fregare. A casa smontiamo il calamento, sfiliamo il semino di caucciù e lo buttiamo in pattumiera. Già che ci siamo, buttiamo in pattumiera anche la bustina in cui ci erano avanzati gli altri 4 semini, così, tanto per non farci più tentare dal loro uso…
Andiamo nel negozio di merceria presso il quale si servono nostra madre, nostra moglie o nostra nonna e chiediamo alla merciaia di darci un rocchetto di filo da ricamo per uncinetto del diametro 0.35/0.40 e lo testiamo stirandolo tra le nostre mani sino a trovare una marca molto resistente.
Tra quelli più resistenti c’è questo:
Con il filo da ricamo confezioniamo un bel nodino di fermo sulla nostra lenza. Si tratta di un semplicissimo nodo UNI a 5 o 6 spire:
poi a seguire infiliamo una perlina, quindi il galleggiante scorrevole, poi un'altra perlina ed infine facciamo un altro nodino inferiore per evitare che l'asta del galleggiante vada a battere sui pallini (è sufficiente che la distanza tra nodino inferiore e primo pallino sia pari alla lunghezza del galleggiante + 2 cm)
Avvolgiamo il tutto nella scaletta avvolgi lenza, mettiamo alcuni elastici per bloccare la scaletta sul pedone della canna e siamo pronti ad affrontare un'altra giornata di pesca, finalmente sicuri che il nostro nodino non verrà bloccato, come il semino, dall'anello apicale. Una volta nello spot, sposteremo il nodino superiore su o giù per adattare la lunghezza del calamento all’altezza del fondale. Prima di spostare il nodino su e giù, immergiamolo in mare per lubrificarlo.
Col passar del tempo, il nodino si allenta a forza di spostarlo su e giù per ricercare il fondale, ma con uno spillo o con il puntalino dello slama pesci lo disfiamo e ne facciamo uno nuovo: il nostro rocchetto di filo da ricamo ci basta e avanza per tutta la nostra vita di pescatori.
Perché usare il filo da ricamo? Perché è sufficientemente morbido per non intaccare il nylon e contemporaneamente è sufficientemente resistente durante l'assuccata del nodo (chiaramente dalla merciaia proviamo vari fili di cotone sino a trovare quello più resistente). Inoltre permette di fare un nodo dal volume ridottissimo.
d. Calamento con galleggiante scorrevole e torpilla
La preparazione di questo calamento è identica a quella precedente, solo che i pallini spaccati vengono sostituiti da una torpilla classica o compatta (short diamond drop).
Siccome la torpilla è scorrevole, andrà a battere sul nodo tra lenza madre e micro girella. Per evitare l’usura del nodo, mettere tra torpilla e la girella uno spezzoncino di silicone per fungere da salvanodo. Per tutto il resto, seguire esattamente quanto già visto con i pallini spaccati:
Quando usare calamenti zavorrati con pallini e quando con torpilla?
Anche se il peso globale dei pallini è identico a quello della torpilla (p.e. 2 gr), i pallini discendono molto più lentamente verso il fondo di quanto non faccia la torpilla, in quanto questa ‘concentra’ il proprio peso in una massa unica e compatta, e quindi l’acqua oppone una minor resistenza all’affondamento. Pertanto (ammettendo che i pesci mangino in prossimità del fondo e non distanti dalla nostra postazione) è preferibile usare la torpilla quando il fondale comincia ad essere elevato (p.e. da 5 mt in su). I pallini, affondando più lentamente, potrebbero essere trascinati lontano dalla zona di pascolo in presenza di corrente sostenuta.
Per contro, i pallini conferiscono al calamento quel caratteristico andamento a ‘vela’ che in tantissime circostanze si dimostra molto più catturante dell’andamento più verticale che la torpilla conferisce al calamento. La scelta tra un tipo di zavorra e l’altro non può comunque prescindere dall’altezza del fondale, per cui possiamo arrivare al compromesso di usare i pallini spaccati quando il fondale si mantiene entro i 5 mt, e la torpilla con fondali superiori
C’è poi da notare che la gestione di un calamento zavorrato con i pallini è molto più facile se si utilizzano canne lunghe (da 6 mt in su), mentre il calamento zavorrato con la torpilla si gestisce bene sia con canne lunghe che corte.
In via teorica si potrebbero abbinare queste combinazioni:
• fondale sino a 5 mt: canna lunga (minimo 6 mt) e calamento con pallini spaccati
• fondale oltre i 5 mt: indifferentemente canna lunga o corta e calamento con torpilla
Dal punto di vista pratico, le due soluzioni andrebbero testate nello spot, e ciò è fattibile senza troppi tribolamenti se ci portiamo dietro due canne armate nei due modi differenti e le proviamo entrambe sino a trovare quella che da i migliori risultati. Useremo quindi quella che lavora meglio in quella circostanza.
Un altro fattore da tener presente nella scelta tra i due calamenti è la velocità della corrente: più questa è forte, meglio si comporta il calamento zavorrato con la torpilla, che risente meno della sua influenza.
La scelta del tipo di galleggiante
La scelta del galleggiante tra fisso e scorrevole è legata principalmente alla lunghezza della canna: una canna corta potrebbe non essere in grado di supportare un galleggiante fisso, in quanto questo andrebbe a battere sull’anello apicale nella fase di recupero (il ‘drop’ tra il galleggiante e l’amo potrebbe essere troppo lungo rispetto alla lunghezza della canna). In tutti i casi, una canna corta gestisce molto meglio un galleggiante scorrevole di uno fisso.
La forza delle correnti influisce sulla forma del galleggiante:
• con correnti forti sarebbe più opportuno usare galleggianti dal corpo sferico o a oliva
• con correnti medie, a goccia rovesciata
• con correnti deboli, a goccia o affusolato
Per quanto riguarda la deriva, è preferibile che sia in carbonio o in nylon (fibra di vetro), in quanto più flessibile e robusta di altri materiali (quella in legno si spezza facilmente, quella in metallo potrebbe piegarsi ed è poi difficile da raddrizzare come era in origine).
Come antenna è preferibile quella amovibile, in quanto sostituibile con la starlight per la pesca notturna.
La cassetta dei ricambi
Non è necessario portarsi dietro grandi quantitativi di pezzi di ricambio, quanto invece portarsi almeno un ricambio di tutto ciò che ci serve a pesca: se non l’abbiamo con noi e siamo soli a pesca, la battuta potrebbe essere pregiudicata proprio per la mancanza nella nostra cassetta di un banalissimo ricambio.
Se disponiamo di una panchetta dotata di sportelli e cassetti, i nostri ricambi potranno essere disposti in modo ordinato e quindi facilmente reperibili. Se non possiamo permetterci la panchetta, è sufficiente anche la classica cassetta da pesca di piccole dimensioni. Raccomando di trasferire in piccole scatolette di plastica tutto ciò che è confezionato in blister e/o in bustine, in quanto facili prede del vento. Possiamo utilizzare anche scatolette multi comparto per gli accessori più minuti.
Ricambi indispensabili sono:
• Bobine di ricambio dei mulinelli (già imbobinate)
• Rocchetto di filo per fare i braccioli
• Torpille varie grammature
• Pallini spaccati varie grammature
• Punteruolo sciogli nodi
• Slamatore ‘facile’ (ottimo quello della Larchy)
• Pinzette per prendere le minuterie
• Piccole pinze da elettronica
• Forbicine da pesca
• Scatola porta minuteria a scomparto singolo o a più scomparti per ami, micro girelle, spezzoni di tubetto di silicone, micro perline
• Contenitore per galleggianti lunghi
• Contenitore per galleggianti corti
• Avvolgitori per ami già legati
• Ago infilavermi
• Filo da ricamo
• Coltello per aprire le cozze (un comune coltello da cucina con la lama accorciata)
• Sonda per misurare il fondale
L’auto-costruzione del coltello da cozze e della sonda è illustrato più avanti nella sezione Esche.
L’importanza delle correnti e della pasturazione
Nella pesca con la bolognese le correnti, insieme alla pasturazione, rivestono un’importanza fondamentale:
• in loro assenza (ma questo avviene in tutti i tipi di pesca in mare) l’abboccata avviene in modo sporadico e casuale, in quanto i pesci sono molto svogliati. In assenza di correnti neanche la pasturazione riesce ad invogliarli ad attaccare l’esca
• se sono molto forti, vanificano l’azione della pasturazione in quanto questa va a creare una zona di pascolo fuori dalla nostra portata, e spesso questa zona di pascolo non viene neanche creata, talmente la pastura viene sparpagliata.
La corrente ideale è quella lenta, perché conferisce alla pastura ed al bracciolo quella tipica fluttuazione che invoglia i pesci ad attaccare l’esca. Inoltre consente di utilizzare galleggianti di bassa grammatura che rendono l’apparato pescante molto sensibile anche alle toccate più timide (tenete presente che le toccate leggere non sempre sono sinonimo di pesce piccolo: le grosse spigole, nell’approcciare l’esca – soprattutto il bigattino – quasi sempre hanno delle toccate così leggere da essere appena percettibili…).
Sfrutteremo meglio l’azione delle correnti se peschiamo da una postazione sopraelevata (pontile, banchine, scogliera bassa, massi frangiflutto, ecc.), in quanto questo tipo di postazione ci consente di calare l’esca (anziché lanciarla) e quindi di usare la corrente come lento mezzo di trasporto del calamento, metodo che si è rivelato il più gradito da tutti i pesci.
Alla giusta forza delle correnti è legata anche la pasturazione, che assume in acqua un movimento fluttuante simile al bracciolo, che è poi il movimento naturale dei vari bocconi di cibo presenti in mare. La pasturazione, che viene trasportata dalle correnti, deve essere studiata in modo tale che vada a concentrarsi in una zona limitata, chiamata zona di pascolo, in cui richiamare e trattenere il più a lungo possibile le nostre prede. La pasturazione non deve assolutamente sfamare i pesci, ma solo eccitarli, pertanto va dosata nelle giuste dosi.
Possiamo suddividere la pastura in tre tipi:
• bigattini
• sfarinati
• macinati di sardina
I bigattini non sono solo ottimi come esca, ma anche come pastura. Appena arriviamo allo spot, pasturiamo con uno o due pugni di bigattini, per poi ridurre drasticamente la quantità ad una decina di bigattini per volta per tutta la durata della battuta. Come cadenza calcoliamo più o meno mentalmente una decina di bigattini ogni 5 minuti.
Se usiamo sfarinati o macinati di sardina, questi devono essere molto diluiti in modo che si sciolgano facilmente in acqua: la loro azione deve essere quella di diffondere in acqua il loro aroma, non quella di formare grumi che a lungo andare sfamano i pesci.
Personalmente non uso mai i macinati di sardina tal quali, ma li frammischio agli sfarinati per aumentarne la fragranza.
Questo tipo di pastura la preparo così: in un contenitore abbastanza capiente (il mio preferito è un ex contenitore di pittura murale bonificato) miscelo:
• un secchiello di sardina macinata sui 2 kg (acquistata già pronta nei negozi di articoli da pesca)
• un flacone di olio di sardina (anch’esso acquistato in negozio)
• 2 kg di semola
• acqua quanto basta
Quando riesco a trovarla, al posto della sardina macinata uso la farina di pesce, con cui mi trovo meglio in quanto si discioglie più facilmente.
Se mi dedico alle orate usando come esca le cozze, faccio anche una pastura supplementare fratturando con i piedi una certa quantità di cozze (che non vanno ridotte in poltiglia, ma solo pestate).
Le esche
Bigattino
Per la pesca con la bolognese, fortunatamente, esiste un'esca quasi universale, di facilissima reperibilità e relativamente economica: il bigattino.
Inoltre, usandolo anche per pasturare, con mezzo kg di bigattini riesco a trascorre un'intera giornata a pesca con ottime probabilità di catture importanti. Ci sono vari modi di escare il bigattino, tutti egualmente validi, tanto che il metodo di innesco si risolve alla fine con quello che preferiamo a livello personale. Il mio, per esempio, è quello del 3° disegno dell'immagine, chiamato innesco 'a calzetta' per il fatto che uno dei bigattini ricopre il gambo a mo’ di calza:
Gamberetto vivo
Quest'esca è più difficile da reperire, a meno che non ci sia un fiume nelle vicinanze della nostra residenza in cui è possibile pescarne 4/5 pugni abbondanti con un retino a maglie strette. Se peschiamo dalle banchine dei porti, possiamo 'raschiare' le banchine con un retino a maglie strette; se peschiamo dai moli frangiflutti o dalle scogliere, potremmo utilizzare una nassa da gamberetti in cui avremo inserito una sardina (o altri pezzi di pesce) come richiamo. Insomma, procurarsi i gamberetti in quantità sufficiente per pescare solo con quell'esca non è un'impresa da poco e richiede del tempo per procurarseli, ed è un vero peccato visto che quest'esca è apprezzatissima da tutti i pesci. Il gamberetto vivo va innescato per la coda in questo modo
I gamberetti che muoiono non li butto via, perché sgusciati e tagliati a pezzetti sono molto apprezzati dagli sparlotti.
Anellidi
Si possono utilizzare tutti i tipi di anellidi reperibili presso i negozianti: Tremolina, Arenicola, Coreano, Americano, Muriddu…., o reperibili nel bagnasciuga (cento lire). Ottimi anche i Bibi nelle misure molto piccole. I vermi, con la bolognese, è preferibile escarli in questo modo :
Cozza
Eco un'altra esca molto appetita. Se innescata sgusciata rischia di non diventare catturante proprio per la sua…appetibilità, in quanto viene aggredita all'istante dai pescetti. Allora ricorro al 'trucchetto' di innescarla col guscio o con una valva del guscio, ponendola quindi come esca selettiva per l'orata (di cui è ghiottissima) ed il sarago. Ci sono due metodi di preparazione della cozza per il suo innesco col guscio: quello così detto 'a farfalla' e quello con una valva sola. Il metodo 'a farfalla' (che prende questo nome per la forma che assume la cozza aperta, che in qualche modo richiama una farfalla con le ali dispiegate) consiste nell'allargare le due valve della cozza con la lama di un coltello non affilato (mi raccomando, perché un coltello affilato può rivelarsi un'arma pericolosissima, a causa delle mani scivolose), senza però separarle. Sempre con il coltello si ammassa la polpa verso il centro delle valve e verso l'alto, stando bene attenti che non si stacchi dalla cozza, e quindi si innesca in questo modo:
L'innesco mono valva è più o meno similare: si ammassa la polpa su una sola valva, mentre l'altra va staccata. Si innesca in questo modo
Siccome la polpa è molto fragile, bisogna acquistare un po’ di esperienza per appuntare l'amo nelle parti più dure della cozza, altrimenti l'esca si stacca dall'amo con estrema facilità.
Preparazione del coltello per sgusciare le cozze
Si utilizza un comunissimo coltello da cucina col manico in plastica e si accorcia la lama lasciandone 3 cm
Sardina
Anche la sardina, tagliata a tocchetti, si può usare con la bolognese. Con un paio di forbici affilatissime e possibilmente con le lame sottili, eliminare la testa e un pezzo di coda, che vanno sminuzzate e lasciate cadere in acqua per pasturare. Poi tagliare la sardina per il lungo in due parti: durante questa operazione, porre molta attenzione a recuperare per intero le interiora della sardina e a non buttarle via, perché risultano l'esca più appetita in assoluto nella pesca in mare! Spellare quindi le due parti, eliminare la lisca, e tagliare ancora in due parti per il lungo ciascuna metà della sardina (avremo quindi 4 strisce di sardina). Ogni striscia va poi tagliata a tocchetti della grandezza adeguata all'amo. Per prima cosa inneschiamo le interiora: non è un'operazione molto semplice, ma con un po’ di pazienza, infilando prima le parti più dure, avvolgiamo e 'cuciamo' le interiora all'amo. Usando quest'esca, dobbiamo concentrarci al massimo nell'osservare il galleggiante, perché la toccata è delicatissima, tanto che potremo scambiarla per quella di un piccolo avannotto, quando invece potrebbe essere quella di una spigola di qualche kg: in tanti anni che uso quest'esca, mi sono fatto la convinzione che venga degustata allo stesso modo in cui noi degustiamo un gelato, cioè facendocelo squagliare in bocca. Con la sardina come esca e con la pastura di macinato di sarda, è molto facile che abbocchino anche i muggini. E' indispensabile che la sardina sia freschissima o appena scongelata.
Pastella
La pastella è molto indicata per la pesca al muggine e all'occhiata, della quale sono particolarmente golosi, ma è apprezzata tantissimo anche dai saraghi. Per la preparazione della pastella mi affido alle bustine preconfezionate che si trovano in commercio, il mio unico impegno è quello di prestare la massima attenzione al dosaggio dell'acqua per ottenere una pasta molto filante con una consistenza al limite della sua tenuta sull'amo: una pasta molto consistente è meno apprezzata di quella morbidissima e filante. Tanto per capirci, la consistenza è talmente labile che per innescarla sull'amo devo usare uno stuzzicadenti, in caso contrario mi rimane appiccicata alle dita tanto da non riuscire ad escarla. Il dosaggio dell'acqua va calibrato 'alla goccia'. Eventuali correzioni di pastelle divenute molto liquide per eccesso d'acqua si possono correggere con l'aggiunta di farina.
Le esche da escludere dalla pesca con la bolognese sono tutte quelle esche coriacee tipo il calamaro, la seppia ed il polpo, che se vanno bene nella pesca a fondo non sono però apprezzate nella pesca col galleggiante. Se avete notato, le esche più apprezzate e più funzionanti nella pesca con la bolognese sono quelle morbide, alcune delle quali richiedono una buona dose di pazienza per l'innesco. Ma il più delle volte questa pazienza viene ricompensata.
L’altezza dell’esca dal fondo
La prima regola dell’altezza dell’esca dal fondo è che… non esiste alcuna regola!
Infatti si possono prendere pesci sia appena sotto la superficie dell’acqua (occhiate, boghe, surelli, lecce stella, aguglie, in pratica tutti quei pesci così detti di superficie), sia a mezz’acqua (spigola), sia a fondo (mormore, triglie, sarghi, orate…). La spigola può mangiare a qualsiasi altezza, come pure il muggine.
Il fatto è che bisogna provare a tutte le altezze, sino a trovare quella che in quel giorno, in quella determinata circostanza ed in quel determinato momento funziona. Quindi, nel corso di una medesima battuta, bisogna variare continuamente il fondo sino a trovare quello giusto. Ma non basta: un fondale che sino a quel momento funzionava benissimo, dopo un po’ non funziona più, ed allora bisogna nuovamente riprovare a variare il fondo, sollevando od abbassando il galleggiante o il nodino di stop.
E’ una grande seccatura, lo so, però posso assicurarvi che quando avrete qualche mese di pesca con la bolognese sulle spalle questa operazione la farete in maniere talmente automatica e spontanea che manco vi renderete conto che la state compiendo…
Appena arrivati allo spot, da qualche altezza si dovrà pur cominciare, ed infatti esiste un’altezza ‘canonica’ di partenza, che è quella di far pescare l’amo a 25 cm dal fondo. Per misurare il fondo si usa una sonda. Nell’immagine sottostante è illustrato un metodo per auto-costruirsi in modo semplice una sonda che funziona anche meglio delle sonde commerciali:
Occorrente:
• Piombi forati da 10/15/20 gr
• Nylon diametro 0.70
• Punteruolo
• Guaina di filo elettrico (con diametro del foro adatto)
Col punteruolo allarghiamo il foro alla base del piombo (è sufficiente penetrare per pochi millimetri, il tanto perché il foro allargato possa nascondere il nodo che faremo al nylon).
'Doppiamo' (ripieghiamo ad U) uno spezzone di nylon col diametro di 0.70 mm, che è il diametro ideale da usare per la sonda.
Infiliamo i due capi del nylon dentro il foro del piombo (dalla parte più sottile del piombo) e facciamoli fuoriuscire dall’altra sino a quando non resta un asola lunga circa 3 cm.
Facciamo un nodo semplice ai due capi del nylon, stringendo con forza, e tiriamo l'asola verso l'alto sino a quando il nodo non scompare nel foro del piombo che abbiamo allargato col punteruolo.
Ritagliamo dalla guaina di filo elettrico uno spezzone di 2 cm ed infiliamo nel nylon: il diametro del foro della guaina deve essere tale che il suo scorrimento sul nylon deve avvenire in modo ‘forzoso’, in modo che non scivoli in basso liberando l’amo.
Per misurare l’altezza iniziale del fondale procediamo in questo modo:
supponiamo di trovarci su una banchina, con la nostra canna ancora chiusa e la scaletta avvolgi lenza fissata al pedone con gli elastici
• Stacchiamo la scaletta e svolgiamo tutto il filo che vi è avvolto, mantenendo la canna sempre chiusa
• Attacchiamo la sonda all’amo e facciamo discendere la sonda oltre la banchina
• Tiriamo a mano il filo del mulinello e facciamo scendere la sonda sotto il pelo dell’acqua per un paio di metri
• Distendiamo tutti gli elementi della canna e controlliamo il perfetto allineamento di tutti gli anelli, raddrizzando gli eventuali elementi che non sono in linea (mettere la canna con gli anelli rivolti in in alto e controllare l'allineamento di tutti gli anelli come se stessimo prendendo la mira con un fucile)
• Apriamo l'archetto e facciamo scendere la sonda sino a quando non sentiamo che è arrivata sul fondo.
• Il galleggiante è sparito sott'acqua? Se il galleggiante è un galleggiante fisso, facciamolo scorrere verso l’alto, se è un galleggiante scorrevole facciamo invece scorrere verso l’alto il nodino di stop e facciamo riscendere la sonda sino a quando non tocca il fondo
• Il galleggiante è ancora sott'acqua? Vuol dire che dobbiamo ancora sollevare il galleggiante o il nodino perché il tratto di lenza tra il galleggiante (o il nodino) e la sonda è ancora troppo corto. Facciamo riscendere la sonda sino a quando non tocca il fondo
• Procediamo in questo modo sino a quando del galleggiante non rimane fuori solo l'antenna: quando questo avviene, la distanza tra galleggiante e sonda è perfettamente uguale al fondale.
• Se, tenendo la lenza tesa, il galleggiante fuoriesce invece dall'acqua, vuol dire che l’abbiamo sollevato troppo. Procediamo quindi ad abbassarlo.
• Una volta tarata perfettamente l'altezza del galleggiante, la sonda sta toccando il fondo: abbassiamo il galleggiante (o il nodino) di 25 cm e l’amo si troverà a pescare esattamente a 25 cm dal fondo.
Questa è l’altezza 'canonica' da cui iniziare: se durante la battuta vediamo che dopo un lasso di tempo ragionevole il pesce non mangia, solleviamo il fondale di 50 cm (abbassando il galleggiante o il nodino di fermo). Se dopo un po’ ancora non mangia, solleviamo il fondo di altri 50 cm. E così via sino a quando non troviamo l'altezza giusta a cui mangiano i pesci.
Se la corrente è molto forte, questa potrebbe tenere il calamento molto sollevato dal fondo: in questo caso allunghiamo il fondo (sollevando il galleggiante o il nodino) di 50 cm alla volta.
Gli spot
Nella mia lunga attività di pesca con la bolognese ho potuto sperimentare quali sono gli spot che hanno dato una maggior resa e, a parità di resa, quelli che offrono i maggiori confort, perché la pesca, tutto sommato, deve essere un motivo di rilassatezza e non di stress.
1° – Pontile.
Il pontile che si protende dalla spiaggia per un 80-100 mt sembra creato apposta per la pesca con la bolognese in quanto presenta tutte le caratteristiche ideali per questo tipo di pesca. La piattaforma appoggiata su pilastri consente il libero passaggio dell'acqua da una parte all'altra, ma soprattutto consente di posizionarmi a favore di corrente quando questa è trasversale al pontile stesso. Posizionandomi con le spalle alla corrente, calo l'esca 'a piombo' sotto i miei piedi e lascio che sia la corrente a trasportarla lentamente sino a quando non avviene l'abboccata. Questo facilita tantissimo anche la pasturazione, che faccio calare anch'essa 'a piombo' sotto i miei piedi e che viene trasportata lentamente dalla corrente nella zona in cui staziona l'esca. Non è necessario far allontanare molto l'esca, a volte bastano pochi metri, raramente è necessario farla allontanare più di 15 mt.
Quando cambia la corrente, è sufficiente posizionarmi sull'altro lato del pontile. Spesso le catture più interessanti avvengono proprio sotto il pontile stesso, rasente i pilastri (saraghi, orate e le stesse spigole), basta non spostarmi quando cambia la corrente e pescare con il galleggiante sotto il pontile.
Dal pontile ho catturato di tutto, essendo i suoi pilastri (che si rivestono di cozze e di microrganismi) un forte richiamo per molte specie di pesci.
2° – Canale scolmatore
I canali scolmatori di bacini di acque dolci sono un potentissimo richiamo per tutti i tipi di pesci per il flusso ed il deflusso delle maree che favoriscono il frammischiamento tra acque dolci e salate. Nel canale scolmatore si può pescare veramente di tutto.
3° Banchine del porto
La pesca con la bolognese dalle banchine del porto è paragonabile a quella effettuata dal pontile, con la sola differenza che la corrente che si forma è laterale (da sinistra a destra e viceversa), mentre è assente la più comoda corrente perpendicolare alla nostra postazione. Le banchine dei porti rappresentano uno dei punti migliori per la pesca con la bolognese perché si pesca di tutto e perché sono di estrema comodità. Purtroppo non in tutti i porti è consentito pescare per motivi di sicurezza, ma la dove è consentito, per quei fortunati pescatori è come trovarsi in un paradiso terrestre.
4° Banchine del porticciolo
.
Le banchine del porticciolo non sono altrettanto comode come quelle del porto, sia perché sono strette sia perché le barche sono ormeggiate molto ravvicinate tra loro. Inoltre la presenza dei cavi di ormeggio (galleggianti o meno) ci costringono a degli slalom che con il pesce in canna non sono troppo agevoli. Se però rintracciamo una postazione dove farci un comodo ‘nido’, le catture non mancano di certo. Anche nei porticcioli si può catturare di tutto.
5° Massi frangiflutti di porti e porticcioli
Non è certamente come pescare dalle banchine, ma se riusciamo ad arrivare prima degli altri a quel famoso masso largo e piatto sollevato di 50 cm sul livello del mare è fatta! Anche i massi frangiflutti offrono una varietà davvero notevole di pesci. Tra i massi è facile reperire i gamberetti vivi da pescare con la nassa.
6° Scogliere basse
Le scogliere non troppo alte sul livello del mare sono un buon punto per pescare con la bolognese. I tipi di pesci catturabili cominciano a variare rispetto a quelli visti nei punti precedenti: qui la fanno da padrone le occhiate, le aguglie, i saraghi, tutti i pesci da zuppa, ma non manca neanche sua maestà la spigola o l'orata. Ovviamente le condizioni del mare devono essere da calmo a poco mosso, perché oltre a rischiare di farci una bella doccia, il nostro galleggiante verrebbe sballottato in continuazione, con la probabilità di arroccare l’amo. La scogliera bassa rappresenta comunque un ottimo spot per divertirsi.
7° Foce del fiume
La foce del fiume rappresenta un ottimo spot per insidiare la spigola, ma purtroppo bisogna fare i conti con le correnti perenni, che in certi periodi dell’anno sono troppo sostenute. Per questo motivo non frequento molto le foci, perché la pesca con la bolognese fatta in questi luoghi anziché rilassarmi mi innervosisce assai.
8° Pesca dalla spiaggia.
Ho classificato per ultimo lo spot della spiaggia perché è quello che mi ha dato meno soddisfazioni di tutti, sia in termini di catture che di luogo agevole per pescare con la bolognese. Anzitutto le condizioni del mare devono essere da calmo a poco mosso, in caso contrario lo spiaggiamento del galleggiante non si fa attendere, e queste condizioni si presentano soprattutto nel periodo estivo, quando subentra il problema dei bagnanti. Poi, detto sinceramente, pescare con la bolognese dalla spiaggia non mi diverte affatto. Per quanto mi riguarda, la spiaggia è lo spot ideale per pescare a fondo (beach ledgering, PAF o surf casting). Nella mia zona, forse sono l’unico che si è dedicato alla pesca con la bolognese dalla spiaggia. La spiaggia è adatta più alla pesca all'inglese che con la bolognese.
14. F.A.Q.
D. La pasturazione conviene farla lanciando o si può anche usare un pasturatore? Se si, quale tipo di pasturatore si potrebbe usare?
R. Il pasturatore classico, con la bolognese, non si può usare in quanto sfalserebbe il delicato equilibrio tra galleggiante e zavorra. Si potrebbe però usare il galleggiante-pasturatore (una via di mezzo tra galleggiante e pasturatore), come quello prodotto dalla Stonfo
D. Ogni tanto mi viene in mente di comprarmi una canna bolognese di sei, sette metri e provare dalla spiaggia. Potrebbe funzionare, e soprattutto, è sempre pesca alla bolognese?
R. Certamente si. Sono in tanti ad essere 'costretti' a pescare con la bolognese dalla spiaggia per mancanza nelle vicinanze di un porto, porticciolo, pontile, scogliera bassa, e spesso con profitto. Naturalmente è molto più facile e redditizio pescare da una postazione sopraelevata: più facile in quanto non sei costretto a lanciare (operazione foriera di ingarbugli del bracciolo sulla madre), ma è sufficiente calare l’esca; più redditizio per via della pasturazione, maggiormente gestibile se fatta dall’alto, in quanto si ha l’esatta direzione e intensità delle correnti.
D. Non riesco a fare i nodini di stop. C’è una soluzione più facile?
R. Si, basta comprare i nodini già pronti
D. Con la bolognese si possono usare i galleggianti inglesi pre-piombati?
R. Certamente si, anche se per questi galleggianti è preferibile usare una canna inglese (match rod), che ha una struttura più adatta a questi tipi di galleggianti.
Personalmente nella pesca con la bolognese non uso mai galleggianti inglesi ma solo galleggianti da bolognese, e questi non superano mai i 2 gr di portata, preferendo in assoluto quelli da 1 gr se le condizioni me lo permettono. I galleggianti inglesi servono per due motivi principali: consentono di fare lunghi lanci e contrastano meglio una corrente molto forte. Se devo pescare in queste condizioni, uso decisamente una canna inglese. Ma se voglio pescare con la bolognese ed i 2 gr non sono sufficienti a sostenere la corrente, allora reputo quella corrente troppo forte (chissà dove mi porta la pastura…) e quindi cambio spot in cui le correnti siano più deboli.
D. Quando lancio, il bracciolo si attorciglia intorno alla madre. C’è un modo per evitarlo?
R. Un modo per evitarlo in assoluto non esiste, però c’è un metodo di lancio che attenua di moltissimo questo fastidiosissimo problema: appena fatto il lancio, quando ci accorgiamo che il galleggiante ha raggiunto la distanza che ci interessa, distendiamo completamente il braccio in avanti con un’inclinazione di 45° e facciamolo poi scendere lentamente verso la superficie dell’acqua sino a quando la canna non vi si trovi parallela. Contemporaneamente, durante la discesa del braccio, appoggiamo il dito indice sul bordo della bobina del mulinello per fermare la fuoriuscita del filo, ‘stoppandolo’. Quando il galleggiante sta per toccare l’acqua, riportiamo velocemente il braccio ad un’altezza di 45°. Questo ‘stoppaggio’ favorisce la distensione completa del filo, che a sua volta diminuisce notevolmente il ‘ritorno’ del bracciolo e del terminale sulla lenza madre o sul galleggiante, evitando così un possibile groviglio. Con un buon allenamento, l'operazione riesce al 90%. Si hanno maggiori probabilità se si usa un bracciolo corto, ma un bracciolo corto ha una resa di gran lunga inferiore ad un bracciolo lungo….
Ciao, innanzitutto complimenti per la guida.
Molto ma molto bella.
Voglio farti subito una domanda (ma ti dico che purtroppo data la mia inesperienza non sarà la prima e spero di non disturbarti troppo calabria2)…….
pescando dal porto (dal pontile) come faccio a vedere se c'è una corrente sufficiente per espandere la pastura (bigattini)?
c'è per caso qualche arnese che potrei acquistare oppure costruirlo in autonomia?
fammi sapere, grazie.
6
Voci
32
Risposte
Tag
Questo argomento non ha etichette,
Cookie | Durata | Descrizione |
---|---|---|
cookielawinfo-checkbox-analytics | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics". |
cookielawinfo-checkbox-functional | 11 months | The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional". |
cookielawinfo-checkbox-necessary | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary". |
cookielawinfo-checkbox-others | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other. |
cookielawinfo-checkbox-performance | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance". |
viewed_cookie_policy | 11 months | The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data. |